Si sente parlare di affido culturale, una pratica partita a Napoli nel 2020, durante il lockdown, nell’ambito dei progetti selezionati dal Fondo nazionale per il Contrasto della Povertà Educativa Minorile, e poi diffusasi in altre città. L’idea di fondo è semplice. Un genitore, che abitualmente porta i suoi figli al cinema, a teatro, al museo o in libreria, ci porta anche un bambino – eventualmente con un membro della famiglia di quest’ultimo – che in questi luoghi non ci entrerebbe mai per ragioni diverse.

“Si realizza così un insieme di fruizioni culturali condivise, tramite le quali famiglie-risorsa e famiglie-destinatarie stringono un Patto Educativo: un sostegno complessivo multidimensionale promosso, garantito e monitorato dalla Scuola per contrastare la povertà educativa”, come si legge sul sito del progetto stesso. In pratica, famiglie che aiutano altre famiglie. All’affido culturale partecipa tutta la comunità, nella sfida educativa che coinvolge i bambini.

Un esempio di rafforzamento dei legami comunitari, di lotta contro la povertà educativa, soprattutto nei territori più poveri o disagiati, che abbiamo anche nella nostra Regione; ci sono, infatti, bambini e ragazzi che per mancanza di opportunità e di possibilità economiche non visitano mai, né frequentano, luoghi culturali che sono occasioni fondamentali per la loro crescita e il loro apprendimento.

La povertà educativa è insidiosa, non da meno di quella economica; priva bambini e adolescenti della possibilità di apprendere e sperimentare, di scoprire le loro capacità, sviluppare le competenze, coltivare i talenti ed allargare il perimetro delle loro aspirazioni. Il progetto vuole “regalare ai bambini esperienze di bellezza e integrazione da vivere insieme ad altri bambini e costruire una società con maggiore dono di sé, fiducia, attenzione per l’altro”.