di Philippe Van Leeuw
paese: Belgio-Francia, 2017
genere: drammatico
interpreti: Hiam Abbass, Diamand Abou Abboud, Juliette Navis, Monsen Abbas
durata: 1 ora e 25 minuti
giudizio: bello
Da quanto tempo dura la guerra in Siria? Forse è difficile trovare una data precisa, ma i combattimenti proseguono ormai da sette anni: più a lungo di quanto sia durata la seconda guerra mondiale. Pare quasi incredibile che ci sia ancora qualche persona viva o che almeno conservi qualche speranza, per noi che viviamo il conflitto sfogliando le pagine dei quotidiani e osserviamo le macerie di città come Aleppo, sullo sfondo blu del telegiornale.
Il regista belga Van Leeuw, impegnato sul piano sociale, non ha voluto lanciare un atto d’accusa, ma descrivere la guerra dal punto di vista della quotidianità, introducendo gli spettatori all’interno di una casa di Damasco: in trappola, come i protagonisti della pellicola.
Oum Yazan è la donna di casa, è rimasta sola con tre figli e il vecchio suocero, fuori nel cortile non si può uscire, oltre ai combattenti, ci sono i ladri e gli sciacalli e dall’alto si sentono i rumori degli elicotteri, gli spari dei cecchini, i fragori delle bombe. Ma Oum non si arrende: organizza l’appartamento in modo che tutto possa proseguire con le abitudini consuete, ospita una coppia di giovani amici con un piccolo bimbo e controlla che ci siano cibo e acqua a sufficienza. Tutti devono avere un posto per dormire e un piccolo angolo dove conservare la propria dignità. La violenza deve rimanere dietro la porta sbarrata.
Le sequenze della pellicola si susseguono alternando il fuori campo della macchina da presa (essenziale nel ritmo della storia, insieme agli effetti sonori) e i volti dei personaggi che agiscono all’interno delle quattro mura, claustrofobiche; sopra tutti emerge la presenza della bravissima attrice Hiam Abbass. La lettura atroce di questa barbarie quotidiana è ben sottolineata dallo scrittore siriano Khaled Khalifa che ha intitolato, non a caso, il suo ultimo libro “Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città”.
Graziella Cortese