Lunedì 25 luglio si terrà la commemorazione del 78° anniversario del sacrificio di Gino Pastoni.
“Servo di Dio” è un titolo che la Chiesa cattolica assegna dopo la morte a persone che ritiene si siano distinte per “santità di vita”, e per le quali è stato avviato il processo canonico di beatificazione. Gino Pistoni è in questa collocazione nel percorso che potrebbe, un giorno, vederlo proclamato Santo.
Dal punto di vista ”formale” siamo distanti, ma è necessario leggere e rileggere la storia di questo giovane ragazzo sotto tanti aspetti: l’umanità e l’imperfezione caratteristica di questa condizione; la giovinezza e l’entusiasmo tipico di questa età; l’idealismo e la fede cristiana con tutte le contraddizioni di questo dualismo e una sana propensione alla vita, non alla morte, alla vita.
È questo che alle volte si perde un po’ per strada nel raccontare la storia di Gino: si concentra il tutto sul martirio e su una disarmante propensione al sacrificio.
Giusta lettura, ma incompleta.
Cito testualmente le parole di Gianpiero Pettiti, che lo descrive così: “È pieno di vita, ha un fisico atletico e pratica con successo il calcio, il basket, lo sci e l’alpinismo. Come giocatore di pallacanestro era fra i migliori giocatori della squadra di Ivrea, ma lo sport che soprattutto amava era l’alpinismo, inteso oltre che come palestra di muscoli e lotta a tu per tu con le difficoltà della montagna, anche come mezzo di elevazione dello spirito e di avvicinamento a Dio” […]
Il giovane Gino Pistoni è un ragazzo votato alla vita e pieno di futuro, che il 25 luglio del 1944 non torna indietro per diventare eroe, non torna indietro per perdere la vita, ma per salvarne un’altra. Quando Gino d’istinto si volta per aiutare un ragazzo ferito sul campo di battaglia non si chiede di che fazione sia, che religione professi oppure a quale partito politico appartenga: Gino torna sulla via che stava percorrendo verso la salvezza (la sua) per portare su quella stessa via un altro uomo.
Gino conosce il senso della vita e prova a portare con sé quell’altro uomo ferito e agonizzante perché la salvezza è piena solo se condivisa, condivisibile e non a scapito di qualcun altro.
Avrebbero potuto salvarsi entrambi? Questo era l’intento del giovane eporediese.
Così non è stato e oggi lo ricordiamo come colui che si è sacrificato. Certo, si è sacrificato per la vita, non per la morte.
La storia di Gino Pistoni è un inno alla vita e alla condivisione di questo dono smisurato che comprendiamo meglio nel momento della privazione, della malattia e del lutto.
Il senso che rivela Gino nella tragedia è proprio una riflessione a ciò che troppo spesso diamo per scontato: vivere l’esistenza terrena con i migliori propositi. Il titolo “Servo di Dio” potrebbe essere così reso: “Gino, Servo della Vita”.
Marco Cosentino