La guerra del gas, legata all’acuirsi del conflitto russo-ucraino, sconvolge la confusa campagna elettorale per il voto del 25 settembre e conferma la scelta avventurista di chi ha spinto per la crisi di governo. Ora tutti chiedono a Draghi, presidente dimissionario con poteri costituzionalmente limitati, interventi urgenti e di ampio respiro. Si ripropone una questione di fondo: le coalizioni sono fatte per vincere nelle urne o per governare il Paese? Dal 2011, con la caduta del Governo Berlusconi (che pur disponeva di un’ampia maggioranza), si è aperta una instabilità politica particolarmente accentuata, anche con la formazione dei governi “tecnici” guidati da Monti e Draghi.
Oggi, secondo i sondaggi, il centro-destra è in vantaggio di una quindicina di punti sul centro-sinistra “ristretto” di Letta, senza Conte e i centristi di Calenda e Renzi. La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, si è candidata per Palazzo Chigi, ma gli alleati Salvini e Berlusconi “nicchiano”: il leader della Lega ha rivendicato le prerogative del Capo dello Stato, contestando anche alcune scelte di FdI, come la richiesta di “blocco navale” nel Mediterraneo; Forza Italia, legata ai Popolari europei, è perplessa per la linea sovranista della Meloni, vicina all’ungherese Orban. Il quadro non è idilliaco se il cofondatore di FdI, il cuneese Guido Crosetto, dichiara al “Corriere” che “la coalizione reggerà se dopo il voto ognuno si comporterà da statista”. Lo stesso Crosetto, in un’altra intervista, ha espresso timori per un’eventuale reazione negativa dei mercati, com’è avvenuto nel 2011.
Nel centro-sinistra “il campo largo” è sfumato nelle mani di Letta, che ora rincorre il centro-destra con tre “piccole” alleanze con “Impegno civico” di Tabacci-Di Maio, Sinistra italiana-Verdi di Fratojanni-Bonelli, +Europa dei Radicali (la coalizione è oggi valutata dai sondaggi sul 30%). Nell’intesa con la Bonino il segretario del Pd ha “spostato” la linea etica del partito, con il sì ai matrimoni egualitari (gay), il rilancio del ddl Zan con l’insegnamento della teoria del gender nelle scuole, un’ampia legge sul fine-vita. Sul piano generale il Pd rivendica il sostegno al governo Draghi, la scelta europeista e atlantista, l’appoggio all’Ucraina, la difesa della Costituzione nata dalla Resistenza (qui s’innesta la polemica con la Meloni).
Le altre due formazioni, i Pentastellati e i Centristi, sono pienamente in corsa nei collegi proporzionali di Camera e Senato (i due-terzi del complesso), ma con limitate possibilità nei collegi maggioritari (i sondaggi danno Conte al 10%, Calenda-Renzi al 7).
Il M5S si prepara a un’opposizione di sinistra, con una forte critica al Governo Draghi e la difesa del Reddito di cittadinanza e del bonus edilizio; sul conflitto russo-ucraino è per la sospensione dell’invio di armi a Kiev. I Centristi puntano tutte le carte sulla linea Draghi e attaccano contemporaneamente Pd e Forza Italia, guardando all’elettorato moderato dei due partiti.
In queste giornate convulse di campagna elettorale meritano un rilievo ulteriore due fatti importanti: l’inusitato richiamo di Berlusconi al presidente Mattarella; l’appello del presidente della Cei cardinal Zuppi all’attenzione primaria ai 6 milioni di poveri della nostra società.
Sergio Mattarella è riconosciuto, in Italia e all’estero, come un garante sicuro e imparziale delle istituzioni democratiche; coinvolgerlo nelle polemiche sul presidenzialismo (ma quale?) è un errore grave, da non ripetere per il bene del Paese.
È altresì negativo il voler precostituire le scelte autonome del Capo dello Stato. Sulla povertà recentissime indagini di Eurostat segnalano il rischio che la crisi energetica possa condurre in difficoltà 12 milioni di persone, il 20% della popolazione italiana. Il richiamo ai partiti del cardinal Zuppi è ancora più attuale e valido, anche per evitare una campagna elettorale dispersiva, con candidati in parecchi casi “paracadutati” dall’alto, a scapito delle scelte dei territori.
Oggi il 40% degli italiani è incerto sulla partecipazione al voto: la democrazia si rafforza non con la rissa tra i partiti, ma con scelte chiare su programmi, alleanze, possibilità di governo, in uno scenario ancora condizionato dalla tragica scelta bellica di Vladimir Putin.