Gli ultimi sondaggi consentiti dalla legge sulla “par condicio” hanno confermato la fine del bipolarismo all’italiana, che ha caratterizzato trent’anni di vita politica: il centro-destra risulta nettamente favorito (45%) non per uno sfondamento elettorale, ma per la frantumazione del centro-sinistra, con il Pd (valutato attorno al 20%) eguagliato dalla somma tra i rivali Grillini (13-14%) e Centristi (7-8). Nei comizi a Torino e in Piemonte Giuseppe Conte, il presidente della Camera Fico e Carlo Calenda sono apparsi più interessati a sconfiggere il segretario dem Enrico Letta che a fermare la leadership di Giorgia Meloni. Le distanze non sono soltanto di schieramento: sulla politica estera Pd e Centristi sono per il pieno sostegno all’Ucraina nella linea europeista e atlantica, i Grillini chiedono invece la sospensione degli aiuti militari a Kiev. Viceversa in politica economica: Calenda e Renzi sono scatenati contro il Reddito di Cittadinanza, Conte lo difende come principio di solidarietà (e anche Letta, con alcune correzioni).

Nel centro-destra la campagna elettorale, pur in un contesto unitario, non ha cancellato le differenze programmatiche: filo-Ucraina la Meloni, morbidi con Putin Salvini e Berlusconi, europeisti con Bruxelles i Forzisti, “sovranisti” alla Orban Salvini e Meloni; prudenti sulla gestione economica dello Stato Fratelli d’Italia (temono la reazione dei mercati), uniti Lega e Forzisti nel “partito della spesa”, con un programma di governo che non si preannuncia facile da gestire.

Le rilevazioni dell’opinione pubblica presentano contestualmente elementi di contraddizione. Gli italiani apprezzano a maggioranza il governo Draghi, ma è l’opposizione a essere avvantaggiata dalla sua caduta: la Meloni (che doppia Salvini, mettendo in crisi la Lega), Conte (che recupera con il netto “no” a Draghi), l’alleanza Sinistra Italiana-Verdi (che supererebbe il tetto del 3% per entrare in Parlamento). Sembra prevalere nell’elettorato un vento di protesta, come nelle politiche del 2018 con la vittoria dei Grillini (33%), nelle europee del 2019 con l’ascesa di Salvini (34%); ora cresce Fratelli d’Italia (sino a quando?).

L’Esecutivo Draghi, formato in un momento di acuto disagio politico ed economico, ha certamente risollevato le condizioni finanziarie del Paese e affrontato la nuova emergenza della guerra Russia-Ucraina. Non ha tuttavia potuto evitare, anche per le tensioni internazionali, la crescita della povertà e delle diseguaglianze, con nuovi dislivelli tra l’espansione dei profitti societari e la stazionarietà di stipendi, salari, pensioni (permane emblematica, in una stessa Azienda, Banca, Assicurazione, la differenza abissale tra la remunerazione milionaria dei manager e la modestia di poche migliaia di euro per cassa-integrati o salariati).

Anche la scelta del Governo Draghi, per la sua dimensione tecnica, di astenersi da mediazioni sui delicatissimi temi etici e culturali ha lasciato spazio al crescere di conflitti, mentre la tradizione repubblicana è nella linea della mediazione, dall’intesa De Gasperi-Togliatti sulla Costituzione agli accordi Fanfani-Nenni sul centro-sinistra (dopo il caso Tambroni) e Moro-Berlinguer sul compromesso storico negli anni della lotta al terrorismo sanguinario.

Va infine rilevato, secondo le analisi dell’autorevole “Corriere della Sera”, un elemento rassicurante: il centro-destra non avrebbe i due-terzi dei seggi in Parlamento necessari per cambiare la Carta costituzionale. Il documento-base della vita repubblicana appartiene a tutti e nessuna forza politica (qualunque sia) può agire da sola. Questo fatto, se confermato, renderebbe vana la richiesta subito avanzata da Berlusconi di dimissioni di Sergio Mattarella per introdurre il “presidenzialismo” (ma quale?).

Il Capo dello Stato, che mantiene in campagna elettorale una rigorosa neutralità, continua intanto nel sostegno all’Ucraina e nella pressione su Bruxelles perché l’Europa adotti finalmente un tetto sul prezzo del gas, superando gli egoismi nazionali che, alla fine, favoriscono il Cremlino. Sorprende in particolare la linea del governo olandese del liberale Rutte, che difende i grandi profitti di Amsterdam (sede della Banca del gas) contro i principi di solidarietà tra i 27 Paesi dell’Unione. Lo stesso Rutte, in passato, si era distinto per gli attacchi all’Italia “spendacciona”. Il “sovranismo” finanziario non è meno pericoloso per l’Europa di quello politico.