La nuova legislatura repubblicana s’insedia in uno dei momenti più critici della storia dell’umanità, con la drammatica minaccia della sfida nucleare, come nel 1962 per lo scontro Urss-Usa sui missili sovietici a Cuba. L’insensata guerra di Mosca contro Kiev ha portato con sé la recessione economica: nel 2023 per l’Italia si prevede la “crescita zero”, con la flessione dei posti di lavoro e il caro-bollette.
La premier “in pectore”, Giorgia Meloni, sembra muoversi su due linee divaricanti. Come futuro presidente del Consiglio sollecita la solidarietà nazionale e l’unità europea; come leader di Fratelli d’Italia, intervenendo al convegno della destra spagnola di Vox, ha rivendicato il compito di governare con il programma dei Conservatori europei e atlantici (ungheresi, polacchi, spagnoli, americani di Trump…), ovvero con il “sovranismo”. Ma la Meloni “sopravvaluta” il risultato elettorale: con il 26% dei suffragi espressi, ma a fronte di quasi il 40% di astenuti, Fratelli d’Italia rappresenta appena un sesto della popolazione italiana. E i due partiti alleati, Forza Italia e Lega, stanno dimostrando di muoversi su un binario parallelo, non solo per la difficile composizione del nuovo governo: Berlusconi sempre più critico con la leader, Salvini risucchiato dalla sconfitta della Lega sulla linea “nordista” di Bossi e dei Governatori padani.
Forse queste prime difficoltà spiegano un sorprendente sondaggio post-voto: la maggioranza degli italiani preferirebbe oggi la permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi, come se il voto del 25 settembre fosse un optional, anziché la base della legislatura.
A sostegno della Meloni, contro intromissioni francesi, è intervenuto il presidente della Repubblica, sottolineando che “l’Italia sa badare a se stessa”. Mattarella continua a dare una grande lezione di imparzialità e servizio al Paese: ricorda a tutti, in Italia e all’estero, il dovere di rispettare l’esito del voto democratico; contestualmente richiama la fedeltà alla Costituzione repubblicana e ai valori europei. La Francia, con Macron, si è inchinata dinnanzi all’autorità morale e politica del Capo dello Stato. E la destra italiana, che spesso l’ha contestato, ha raccolto con sollievo il suo “scudo” istituzionale.
La navigazione difficile della nuova maggioranza è tuttavia agevolata dal permanere di una forte conflittualità nell’opposizione: Conte e Calenda continuano nell’attacco al Pd, come se fosse “il nemico” da sconfiggere. Il leader grillino, dopo aver guidato due Governi di diverso colore (con la Lega e con i Dem), si propone come nuovo capo della sinistra, utilizzando soprattutto il successo ottenuto nel Meridione con la difesa del Reddito di cittadinanza; l’esponente centrista punta alla spaccatura del Pd tra moderati e sinistra.
Il campo “democratico”, tuttavia, non si è ancora risollevato dalla dura sconfitta elettorale: è stato convocato il Congresso per marzo, ma la confusione delle lingue permane, insieme al fiorire delle candidature a segretario: ultimo, in ordine di tempo, il sindaco di Firenze Nardella, neo-centrista, già stretto collaboratore di Renzi. La relazione di Letta alla direzione del partito non ha migliorato il quadro politico: il leader sconfitto ha imputato essenzialmente la débacle alla lunga partecipazione ai governi, compreso quello di Draghi di solidarietà nazionale, dimenticando la scelta strategica compiuta a favore dell’ex presidente della BCE.
Letta insiste per il bipolarismo, senza indicare concretamente come realizzarlo con un partito sotto il 20% dei consensi. Anche sui delicati temi etici permane l’incertezza, come emerge in Piemonte sullo scottante tema dell’aborto, con una linea del Pd che ricorda l’accoppiata Craxi-Pannella degli anni settanta (peraltro anche i due leader, al voto, non superarono l’asticella del 20% dei consensi).
Il quadro politico, sempre spezzettato, deve tuttavia far fronte, rapidamente, a un difficile contesto sociale: sono riprese le iniziative dei sindacati per misure a tutela dell’occupazione e dei salari (contro il caro-bollette); si annunciano diverse manifestazioni in molte città sul tema della pace e del “no” alla guerra nel Vecchio Continente.
Le nuove Camere dovrebbero dedicare la priorità ai temi più urgenti, in un corretto rapporto tra maggioranza e opposizione, lasciandosi alle spalle la campagna elettorale, dando motivi di fiducia e speranza a un’opinione pubblica molto inquieta.