Il 1° maggio 2018 è stata l’occasione per fare un bilancio sulla condizione dei lavoratori ed una proiezione nel futuro delle politiche necessarie per affrontare i tanti problemi del mondo del lavoro. Se focalizziamo la nostra attenzione sul nostro Paese, anche sul nostro territorio, rileviamo che, rispetto agli ultimi anni, la situazione è leggermente migliorata sul versante economico produttivo ma con risultati non equivalenti sulla dimensione e sulla qualità dell’occupazione.
Si accerta quindi una separazione tendenzialmente sempre più forte tra sviluppo economico, finanziario e produttivo da un lato, e risultati occupazionali dall’altro.
I disoccupati, i sottoccupati e gli inattivi che non cercano neppure più un’occupazione, restano il principale problema, soprattutto quando sono giovani o donne e il fenomeno interessa interi territori, in particolare al sud. Nel frattempo continuano a crescere i lavori temporanei e conseguentemente i lavoratori precari.
Con quali ricette, con quali proposte viene affrontata questa situazione da parte di sindacati, imprenditori e politici? Ascoltiamo tanti suggerimenti, tante osservazioni, tante richieste rivolte ad altri interlocutori… ma nessuna proposta condivisa che possa diventare un obiettivo comune da perseguire come comunità nazionale o locale.
Il sindacato, prima e più importante fonte di potere collettivo per i lavoratori, è fortemente condizionato dagli interessi immediati dei suoi iscritti: in larga misura pensionati, che giustamente spingono per la massima difesa del loro reddito. E’ uno delle conseguenze di una società demograficamente sempre più vecchia: un sindacato sempre più rappresentante di chi dal lavoro è ritirato, focalizza necessariamente la propria attenzione su un argomento (peraltro decisivo ed importante) come quello delle pensioni, lasciando poco spazio alle politiche a favore dei giovani, della loro formazione, della loro occupabilità.
Con l’innalzamento dell’età pensionabile, con un numero sempre maggiore di padri che non lasciano “il posto” ai figli, rimane intatto quel tanto agognato e sognato tema delle Settimane Sociali di Cagliari dell’autunno scorso. Ricevere l’eredità dei propri padri per conservarla, ammesso che i padri abbiano ancora l’eredità del lavoro, resta un miraggio.
D’altro canto, gli imprenditori italiani, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, sono alle prese con una competizione sempre più agguerrita e stringente nella dimensione internazionale. Per fare investimenti chiedono abbattimenti fiscali da indirizzare su nuove tecnologie e automazione: esse, unitamente alle delocalizzazioni, abbattono l’occupazione (almeno quella tradizionale) invece di incrementarla.
La politica è alla ricerca affannosa di nuove modalità per intervenire e indirizzare i processi economici e produttivi. Appaiono scarse le idee e le proposte per incrementare l’occupazione. Nella maggior parte dei casi le ricette sono basate sullo strumento fiscale: ridurre le tasse alle imprese nella speranza che utilizzino i vantaggi fiscali per realizzare maggiori investimenti, ma senza nessuna certezza che si trasformino in maggiore occupazione.
Ritorna allora una domanda che, anche dopo la settimana sociale dei cattolici a Cagliari, è rimasta inevasa. Come attivare da parte dello Stato strumenti e azioni in vari settori ad alta occupabilità, come la difesa e la sistemazione idrogeologica del territorio, l’attenzione e la cura delle persone anziane, l’indirizzo e il collocamento dei giovani e di tutti quelli rimasti senza lavoro in percorsi formativi fortemente collegati con i settori ad alta domanda di lavoro? Lo “Stato imprenditore” non riscuote tuttavia simpatie ed appoggi nella dominante dottrina iperliberista del capitalismo mondiale; in Italia, poi, bisogna fare anche i conti con un abnorme debito pubblico che impedisce l’attivazione di investimenti utili alla collettività.
La fotografia del 1° maggio appena passato potrebbe apparire negativa per vari aspetti. Eppure non bisogna cadere nel tranello del pessimismo e dell’immobilismo. Ci sono segmenti di società, imprese, politici e sindacalisti che quotidianamente cercano di cogliere e valorizzare ogni barlume di sviluppo che si presenti. La tenacia, la lungimiranza, la collaborazione che si possono sviluppare in ogni ambito territoriale tra più soggetti pubblici e privati, è la risposta più credibile che si possa dare nell’immediato a questo enorme problema occupazionale. Insieme è possibile pensare ed agire per il bene comune.
Angelo Bianchi
responsabile pastorale sociale e lavoro, diocesi di Ivrea