I dati relativi alle morti sul lavoro sono drammatici, così come è drammatico l’aumentati dei decessi. Si avvicendano processi in seguito alle morti sul lavoro così come da anni si promuovono corsi sulla sicurezza sul lavoro. Si richiedono leggi, interventi dall’alto ma la sicurezza sul lavoro è qualcosa di assolutamente personale, è quasi “un fatto privato”. Se in molti siamo d’accordo di non metterci alla guida se abbiamo bevuto un po’, c’è chi continua a farlo perché pensa di avere un assoluto controllo su di se e sull’autoveicolo, con a volte, tragiche conseguenze anche per gli altri. Si possono inasprire le pene ma non necessariamente le cose cambiano. Questo vale anche per gli ambienti di lavoro.
Sapere che bisogna mettere in pratica una determinata procedura per rendere il proprio luogo di lavoro più sicuro non è però una ragione sufficiente affinché quella procedura venga messa in atto.
Quello che modifica il nostro modo di esporci a comportamenti pericolosi è solo la motivazione, la motivazione personale, quella cosa che è dentro di noi, che ci fa muovere e ci fa decidere per quale motivo mettiamo in atto un determinato comportamento al posto di un altro.
Non sono le leggi o le conoscenze che ci fanno scegliere cosa fare, certo aiutano, creano un contesto sociale di riferimento ma da sole non sono sufficienti.
Allora ecco che – fermo restando l’obbligo da parte delle aziende, dei datori di lavoro di permettere ai propri lavoratori un ambiente “sano” e di mettere in atto e far rispettare procedure sicure – anche noi, singole persone abbiamo una grandissima responsabilità nei confronti di noi stessi e degli altri.
Essere consapevoli del proprio stato di salute, della propria fatica, delle proprie capacità ma anche dei propri limiti è quello che serve per salvarsi la vita. La vita ognuno di noi decide di salvarsela per i motivi più disparati. E se di quella motivazione ci rendiamo consapevoli non importa se il datore di lavoro ci minaccia o se ci diciamo che possiamo fare un ultimo sforzo prima di tornare a casa; abbiamo l’obbligo verso noi stessi e chi ci circonda di proteggere noi e gli altri. Indossare il caschetto, usare le scarpe adatte, controllare la tenuta di ponteggi, indossare guanti o mascherine, evitare di impegnarsi in attività troppo faticose se non ci si sente bene deve essere una nostra responsabilità, non qualcosa che deleghiamo ad una legge.
Osservare il nostro collega e capire come poter condividere quella giornata di lavoro, chi può fare cosa, nel rispetto dei tempi ma soprattutto delle persone, deve diventare uno stile di vita. Dobbiamo imparare ad incoraggiarci l’uno con l’altro per praticare comportamenti corretti a salvaguardia di tutti.
Possiamo addirittura fare in modo che la sicurezza sia il nostro biglietto da visita. Immaginate una pubblicità dove non si reclamizza la concorrenza sul prezzo o sulla velocità, ma sulla sicurezza. Sarebbe un’innovazione assoluta, sarebbe, se fatto con la testa sulle spalle, una rivoluzione.
Potremmo immaginare ospedali dove si riducono al minimo le infezioni opportunistiche dei pazienti ma anche dei medici e di tutto il personale, potremmo immaginare ponteggi saldi e operai con imbracature che fanno invidia a chi va a scalare le montagne. Non è necessario aumentare i costi per questo. Il costo di un processo ed il costo di una vita è di gran lunga superiore.
Cristina Terribili