Sabato 25 febbraio alle 18 nella chiesa parrocchiale di Castellamonte nella S. Messa presieduta dal Vescovo monsignor Edoardo è stato ricordato don Antonio Dematteis nel 40° anniversario della morte (28 febbraio 1983).
Nativo di Barone Canavese, dapprima da parroco di SS. Salvatore a Ivrea e poi da arciprete di Castellamonte (dal 1975 sino alla morte), don Antonio Dematteis incontrò e portò in diocesi di Ivrea il carisma del Movimento Neocatecumenale, allora agli esordi e poi fiorito nella nostra diocesi come in tante altre realtà ecclesiali sparse nel pianeta.
Qui di seguito riportiamo il messaggio di invito alla S. Messa di suffragio e memoria
Perché ricordare don Antonio Dematteis, nel 40° della sua morte? La sera del 28 febbraio 1983, don Antonio Dematteis partecipava ad un incontro delle Comunità neocatecumenali di Ivrea e Castellamonte, di ritorno da un soggiorno a Roma. Invitato a dare la sua esperienza, parlò, come sempre faceva, in modo semplice e schietto e concluse dicendo: “Ho sentito una catechesi sulla parabola del Buon Pastore che va in cerca della pecora perduta e, quando la trova, se la carica sulle spalle e la riporta al gregge. Io ho sempre pensato che, come prete, sono il pastore che deve portare sulle spalle le pecore che gli sono affidate. Ora ho capito che sono io quella pecora che Cristo porta sulle spalle! È sempre e solo Cristo che cerca e porta sulle spalle le pecore perdute”.
Poco dopo essersi seduto, si rialzò, attraversò la sala con passo fermo e – esattamente come esortava tutti a fare terminando le sue omelie (“Alziamoci e andiamo incontro a Cristo nell’Eucarestia”) – uscì ad incontrare Cristo faccia a faccia…
Nel giro di una manciata di minuti, morì.
Aveva 57 anni.
Nel 1969, parroco di San Salvatore di Ivrea, “un prete in crisi col suo presbiterato, affaticato, deluso e confuso” (così diceva lui) fu invitato da Paola Presbitero ad andare a Roma a conoscere due spagnoli che facevano catechesi agli adulti nella parrocchia dei Martiri Canadesi.
Predicavano il Vangelo e il loro annuncio suonava vivo, forte, concreto, attuale; non annunciavano se stessi o le loro conoscenze: annunciavano la Buona Notizia.
A Roma, conobbe Kiko Arguello e Carmen Hernandez (i fondatori del Movimento, ndr), parlò con loro e li invitò a fare catechesi nella sua parrocchia.
Nel 1970 nacque la prima comunità di Ivrea, di cui don Antonio era presbitero, ma lui si sentiva anche e soprattutto catecumeno.
L’annuncio del Kerigma (“Cristo morto e risorto ha vinto la morte per te”) “salvò la sua vita e la sua vocazione” (sono sempre parole sue).
Dal suo incontro con Cristo attraverso le catechesi, con zelo evangelizzò ed annunciò a tutti quelli che incontrava l’amore infinito e gratuito di Dio.
Nel suo annuncio non faceva proselitismo, non aveva moralismi, né pretese…
Capiva la sofferenza, la disillusione, la rabbia, il rancore…
E amava.
Chi lo incontrava si sentiva accolto, capito, sostenuto e desiderava incontrarlo ancora.
Il suo saluto finale era sempre una mano sulla spalla e un sorriso: “Da parte di Dio”.
E tu non sapevi se era da parte di Dio la pacca sulla spalla o le cose che ti accadevano e di cui avevi parlato, o entrambe!
Nel 1975 fu inviato parroco a Castellamonte ed anche lì portò le catechesi per adulti.
La porta della parrocchia era sempre aperta: si entrava, si chiedeva, si parlava, ci si fermava a pranzo o a cena e si usciva rincuorati.
“Si chiedeva”: molti chiedevano, qualunque cosa, spesso denaro; e nessuno se ne andava a mani vuote.
Colpiva la sua giovialità, la prontezza della battuta, della risata; il piacere delle piccole cose da condividere: un dolce, un sigaro, una passeggiata, la visione di un film …
Ma non era mai superficiale.
Di fronte ad una sofferenza o a un problema non diceva: “Ci impegniamo a risolverlo”.
Diceva invece “Vado a pregare davanti al Santissimo”.
E lo faceva, sempre.
Allora, giovani e inesperti, pensavamo che tutto questo fosse una specie di bella a-normalità naturale; oggi, col senno di poi, sappiamo che è invece un dono di Dio, e si chiama “santità”.
f.b.
Redazione Web