“Nove anni di vita in schiavitù! Nove anni di torture! Nove anni di agonia! Abbiamo sofferto così tanto per mano di queste persone senza cuore e spietate. Per nove anni abbiamo visto versare il sangue innocente dei miei fratelli cristiani, uccisi da persone che non danno alcun valore alla vita. Hanno ucciso senza rimorsi, come se fosse una cosa normale”. Questa drammatica testimonianza, raccolta da Aiuto alla Chiesa che Soffre, è della sedicenne nigeriana Maryamu Joseph.
Il terrore a 7 anni
La ragazza è stata sequestrata insieme ad altre 21 persone nel corso di un attacco sferrato dal gruppo terroristico Boko Haram alla sua comunità di Bazza nel 2013, quando aveva solo 7 anni.
I terroristi, prosegue il racconto della sedicenne, “hanno messo i cristiani in gabbie, come animali. La prima cosa che hanno fatto è stata convertirci con la forza all’Islam. Hanno cambiato il mio nome in Aisha, un nome musulmano, e ci hanno avvertito di non pregare come cristiani o saremmo stati uccisi. Quando avevo 10 anni volevano sposarmi con uno dei loro capi, ma ho rifiutato. Per punirmi mi hanno rinchiuso in una gabbia per un anno intero. Portavano il cibo una volta al giorno e lo infilavano sotto la porta senza mai aprire la gabbia […] Nel novembre 2019 hanno catturato due dei miei fratelli e li hanno portati al campo […] Sotto i miei occhi hanno preso mio fratello e lo hanno ucciso. Gli hanno tagliato la testa, poi le mani, le gambe e lo stomaco”, ha aggiunto.
Dopo essere fuggita dal campo nel luglio 2022 è arrivata a Maiduguri, dove è stata accolta nel Centro traumatologico gestito dalla Diocesi locale e costruito con l’assistenza finanziaria di Aiuto alla Chiesa che Soffre.
Il Centro è concepito per aiutare le persone che hanno subito varie forme di violenza da parte degli estremisti e impiega un team di professionisti.
La richiesta abominevole
La ventiduenne Janada Marcus e la sua famiglia erano già sfuggite indenni a due attacchi di Boko Haram, una volta abbandonando la loro casa a Baga, nella regione nigeriana del Lago Ciad, e una seconda volta fuggendo dalla loro nuova casa ad Askira Uba, nello Stato del Borno meridionale, dove la loro abitazione è stata bruciata e diversi familiari sono stati uccisi dagli islamisti. Successivamente hanno raggiunto Maiduguri, ma il peggio doveva ancora venire.
Il 20 ottobre 2018, racconta la ragazza, “eravamo nella fattoria, lavoravamo alacremente quando all’improvviso siamo stati circondati dagli uomini di Boko Haram […] Hanno puntato un machete contro mio padre e gli hanno detto che ci avrebbero rilasciati se avesse fatto sesso con me […] Mio padre ha chinato la testa in segno di sottomissione per essere ucciso e ha risposto: ‘Non posso dormire con la mia carne e il mio sangue, mia figlia, preferirei morire piuttosto che commettere questo abominio’ […] Uno degli uomini ha tirato fuori un machete e ha tagliato la testa di mio padre, proprio di fronte a noi”.
I terroristi in quella occasione hanno restituito la libertà a Janada, ma il 9 novembre 2020 la giovane è stata catturata, portata nella boscaglia e torturata duramene, emotivamente, fisicamente e mentalmente per sei giorni, per poi essere rilasciata.
Anche lei è stata accolta nel Centro traumatologico della Diocesi di Maiduguri.
Non si tratta purtroppo di casi isolati, basti pensare che negli ultimi 13 anni la violenza di Boko Haram ha causato la morte di 75.644 nigeriani, per la maggior parte di religione cristiana.
Festa della donna, anche per loro
Maryamu Joseph e Janada Marcus, in occasione della festa della donna, sono state invitate in Italia da Aiuto alla Chiesa che Soffre.
La fondazione pontificia ha così voluto simbolicamente includere nelle celebrazioni anche le tante donne cristiane violate e dimenticate, e ha ottenuto che le due giovani fossero ricevute in udienza da Papa Francesco, dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dal Presidente della CEI cardinal Matteo Maria Zuppi e dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani.
In Nigeria le comunità cristiane sono particolarmente vulnerabili e hanno bisogno delle nostre preghiere e della nostra compassionevole carità. Sta anche alla comunità cattolica italiana raccogliere il loro drammatico grido di aiuto.
Massimiliano Tubani
Redazione Web