Nel Mediterraneo, negli ultimi dieci anni, sono annegate 6.380 persone, altre 14 mila sono disperse e la strage continua, da Cutro alle acque della Libia. La politica segue i riti delle bandierine: nel 2015 Giorgia Meloni, allora leader dell’opposizione, chiedeva l’incriminazione del Governo per una strage in alto mare; ora, presidente del Consiglio, subisce un analogo attacco dalla nuova opposizione guidata da Elly Schlein per i fatti, in realtà misteriosi, di Cutro. Come chiede il Presidente della Repubblica sarebbe opportuno un confronto costruttivo tra Governo e forze politiche perché sono in gioco vite umane e scelte drammatiche per il Paese, con la disponibilità a cambiare decisioni discutibili.
Anzitutto va rimosso l’ostracismo alle navi ONG: le ultime vicende di naufragi sono avvenute in assenza di questa presenza (e con limitati compiti della Guardia Costiera); i migranti fuggono da realtà insostenibili: la tirannia in Afghanistan e Iran, la lotta fratricida tra le fazioni libiche, la guerra in Siria, la nuova dittatura in Tunisia, la fame in Africa… Sono persone prive di tutto, senza alternative. Il soccorso in mare è l’unica risposta contro la catastrofe, mentre resta aperto con l’Europa il capitolo dell’equa ripartizione dei profughi tra le 27 nazioni UE.
L’altra ipotesi governativa della “caccia agli scafisti” e di flussi regolari è valida solo in parte, perché la situazione non lo consente in molti dei Paesi citati: da Kabul a Teheran, da Ankara del doppiogiochista Erdogan (finanziato dalla UE) a Damasco del dittatore Assad (sostenuto dai russi).
Ora il ministro della Difesa, Crosetto, ha avanzato una terza indicazione: il boom degli sbarchi (cresciuti del 300%) sarebbe dovuto ad una pressione sui poveri del Centro-Africa dei mercenari della Wagner, la punta avanzata della Russia non solo in Ucraina ma in varie zone di guerra. Una misura “bellica” per indebolire l’Italia e l’Europa. Mosca e la Wagner hanno smentito, ma questa tesi è frutto di una elaborazione dei nostri servizi segreti, che da settimane temono un’ondata di centinaia di migliaia di persone dalla Libia, terra di scontro tra Russi, Turchi, Americani, Europei, fazioni locali divenute ingovernabili nel dopo-Gheddafi.
La tesi Crosetto-Servizi smentisce la linea Piantedosi di incolpare i migranti e apre uno squarcio nuovo sul conflitto russo-ucraino. Da tempo Papa Francesco sottolinea la condizione drammatica della “Terza guerra mondiale a pezzettini”, ora siamo alla strumentalizzazione degli esseri più indifesi: i migranti.
Ferma restando la ferma condanna dell’invasione russa dell’Ucraina, un vulnus alla stabilità europea dopo ottant’anni di pace, è necessario interrogarci sulla possibilità di riaprire un dialogo est-ovest. Molti media danno per scontato un lungo protrarsi della guerra Mosca-Kiev per lo stallo delle forze in campo; secondo alcuni lo sblocco non è prevedibile prima delle elezioni americane del novembre 2024, perché Putin spera nel ritorno di Trump mentre Biden attenderebbe la riconferma prima di aprire sulla linea Kissinger, con il riconoscimento della Crimea alla Russia. Ma altri diciotto mesi di guerra sono una prospettiva terribile, per tutti, aggressore e aggredito, Europa, America, Africa.
Sinora la mediazione dell’ONU ha ottenuto un risultato: gli accordi per la distribuzione del grano ucraino ai Paesi più poveri del Globo. Una seconda intesa potrebbe ripartire proprio dalla Libia, divisa tra due Governi “ostili”, filo-Occidente e “moscovita”, ponendo anche uno stop alla tragedia dei profughi, trattenuti in ricoveri-lager. Per questo è necessario che la diplomazia cerchi con forza il filo della trattativa, non dando per scontata la “guerra fredda” e avendo la disponibilità all’incontro con l’avversario.
Nel frattempo, con nuove aperture alle ONG, con mandati precisi alla Guardia Costiera, con la mano tesa dell’Europa, la salvaguardia dei naufraghi dev’essere collocata al primo posto, per un dovere di solidarietà umana (e cristiana). E anche la Marina Militare può essere utile per salvare vite umane.
Nell’opinione pubblica è opportuno che cresca la consapevolezza dell’immigrazione non come elemento di disturbo ma come segno di civiltà, in una società globalizzata che rischia una crisi profonda di valori e principi. E anche la ricerca della pace deve divenire un assillo quotidiano, non un elemento di difficoltà.
I naufraghi di Cutro ci stanno fornendo una grande lezione, la politica e la società la debbono accogliere.