C’è tanta ansia in giro in questi tempi. Sarà il cambio di stagione, lo spaesamento dell’ora legale, quel senso di efficienza ed efficacia che si ha sempre l’impressione di dover dimostrare quando si parla o ci si presenta a qualcuno…
La Rete degli Studenti Medi e l’Unione degli Universitari hanno raccolto una serie di dati sul disagio mentale tra i giovani: analizzando i 30mila questionari che sono stati completati, il 59% degli studenti dichiara di soffrire di ansia, il 57% di solitudine, oltre il 70% lamenta demotivazione. Chi sta peggio sono gli universitari che chiedono l’istituzione di un presidio socio-sanitario in scuole di ogni ordine e grado, capace di fare rete con gli altri servizi territoriali per poter prevenire ogni disagio e superare, soprattutto per gli studenti fuori sede, la difficoltà di accesso alle cure.
L’ansia giovanile non si esaurisce peraltro nel solo ambito scolastico: spesso colpisce ogni ambiente della vita dell’individuo, dilaga e si sostanzia nella paura del rifiuto, nel timore di trovarsi in situazioni di ridicolo, ed è sempre accompagnata da pensieri catastrofici che preannunciano insuccessi. Si diventa incapaci di superare anche quelle che per molti sono semplicissime prove: prenotare un taxi, entrare in un negozio… L’ansia condiziona le scelte di vita, le limita, le confina in alcuni contesti ritenuti “sicuri” (che in realtà non lo sono mai abbastanza, perché può arrivare sempre qualcosa o qualcuno ad interrompere lo stato di quiescienza a cui l’ansia stessa cerca di arrivare e che rende la vita mai del tutto soddisfacente).
Oggi, molto più che in passato, non solo siamo consapevoli e sappiamo dare un nome agli stati emotivi che ci attraversano e quindi riusciamo con più cognizione di causa di parlare di ansia, di depressione, di disagio emotivo e psicologico; ciononostante, viviamo e contribuiamo a creare e a far crescere un sistema estremamente competitivo che genera disagio a tutte le età e in tutti i contesti sociali. In merito a competizione, felicità e soldi, una recente ricerca effettuata dalla Purdue University in Indiana, ha stabilito che l’apice della felicità personale – legata al reddito – sia quando questo raggiunge i 95mila dollari l’anno (ma ne basterebbero anche 60mila), perché superata questa soglia le persone continuerebbero ad essere preoccupate della propria economia.
Per spiegarlo, l’economista americano Richard Easterlin parla di “paradosso della felicità” affermando che, oltre un certo reddito non si percepisce più uno stato di felicità e che oltre quel reddito la persona sembra non essere più soddisfatta perché si genera quello che altri studiosi chiamano effetto treadmill o effetto tapis-roulant, in cui, abituandosi al piacere si va a ricercare sempre qualcosa di meglio; che è come se corressimo all’incontrario su un tapis-roulant: in realtà si rimane sempre allo stesso punto.
Forse dovremmo chiederci se tanto affanno, tanta competizione, tanta dimostrazione di prestanza la stiamo impegnando rimanendo fermi, e se ci si costringe ad uno sforzo che permette alcuni risultati ma non ne soddisfa altri, cioè quelli più in sintonia con lo sviluppo armonico di un essere umano.