Dalla platea e dai palchi strapieni del “Giacosa” il pubblico si è emozionato, forse commosso.
Ma no, certo non ha potuto capire fino in fondo, vivere intimamente ciò che ha vissuto chi è andato in scena, attori e regista del Teatro a Canone, e i reclusi della casa circondariale eporediese che hanno offerto (a conclusione del progetto “Leggendo evado”, finanziato grazie a Ivrea Capitale del Libro) la loro personalissima rilettura di “Fahrenheit 451”, capolavoro distopico di Ray Bradbury in cui è immaginata una società che ha messo al bando i libri, addirittura che incarica i vigili del fuoco di sequestrarli e ridurli in cenere.
Perché leggere costringere a pensare, e pensare con la propria testa è atto sommamente sovversivo: una dittatura non lo può tollerare.
È stato emozionante scrutare i volti dei protagonisti, soppesarne le voci – tonanti, roche, incerte, con forti inflessioni dialettali o straniere –, intuire (solo intuire!) lo sforzo costato a ciascuno per prepararsi. Intuire (solo intuire!) lo scoramento che può aver colto qualcuno, che forse a un certo punto avrebbe voluto gettare la spugna; intuire (solo intuire!) qualche litigio magari scoppiato durante le prove…
Poi, alla fine, come doveva accadere e come si sperava davvero accadesse, gli attori-pompieri si sono trasformati essi stessi in libri viventi, hanno raccolto l’esperienza vissuta sulla propria pelle, nella propria carne, e l’hanno restituita al pubblico: dedicandola ai propri affetti, alle persone che per loro contano qualcosa.
Compreso chi vive con loro la realtà del carcere, la direttrice, gli operatori, la Polizia penitenziaria, i volontari dell’associazione “Tino Beiletti”, il garante. Infine, spettacolo nello spettacolo, l’esultanza liberatoria seguita alla chiusura del sipario, che poi si riapre tra abbracci e pacche sulle spalle: come al termine di una vittoriosa partita di rugby, svuotati di energie eppure felici, tutti stretti al proprio capitano – perché c’è sempre un capitano, c’è in ogni squadra.
Era la sera del 17 marzo, il giorno di San Patrizio patrono d’Irlanda, il monaco che ha liberato l’Isola di Smeraldo dai serpenti. E loro, quelli saliti sul palco, li conoscono i serpenti che si insinuano nella testa, nelle membra, nelle giunture, con i quali hanno dovuto lottare nelle loro vite.
La sera del 17 marzo, anniversario dell’unità d’Italia.
E loro, quelli saliti sul palco, lo sanno quanto una festa simile dovrebbe parlarci di un’Italia davvero inclusiva, che si fa carico di tutti i suoi figli, anche di quelli che, lasciati o messi ai margini, rischiano di finire sommersi giacchè troppo grande è lo sforzo per rimanere aggrappati al treno lanciato in corsa…
Sono solo suggestioni: prendetele per quel niente che possono valere.
m.s.
Redazione Web