Quali sono le caratteristiche di una persona che si offre come volontario? É una persona con una notevole intelligenza interpersonale, capace cioè di provare una profonda empatia che le permette di essere contemporaneamente sia nei panni dell’altra persona sia di avere la giusta distanza per mettersi al servizio. Il volontario è una persona che è in grado di orientare il proprio e altrui comportamento verso mete e azioni positive, rivolte all’aiuto di persone o gruppi; ha una stabile identità che sa agire sapendo superare le proprie motivazioni egocentriche e i meccanismi di esibizionismo. I volontari sono spesso individui eccezionali, capaci di sporcarsi le mani, di sostenere persone e azioni di solito fuori da sistemi di interessi politici od economici.
Perché intrinseco nel DNA del volontario è il presupposto di non ricevere nulla in cambio, nulla di economico o tangibile, sia chiaro. Il volontario sa che il suo servizio, il suo “sacrificio”, porta ad un beneficio psicologico altissimo, e potenzia la propria autostima. A volte a un volontario basta un sorriso, una stretta di mano, uno sguardo che nel silenzio dice “senza di te non ce l’avrei mai fatta”, voltarsi indietro e vedere che quello che sta lasciando è ben diverso da quello che ha trovato. Senza i volontari tutto sarebbe “meno”: meno pulito, sicuro, solidale, efficace, meno assistito, accompagnato, meno ascoltato eccetera eccetera.
Per favorire i valori e le caratteristiche di un volontario sono necessari dei modelli positivi che permettano, a chi li guarda, di identificarsi e di motivarsi verso azioni positive. In una società avanzata e civile, come si vorrebbe descrivere la nostra, avremmo dovuto osservare una progressione verso forme di solidarietà e partecipazione ai problemi di tutti, mentre si assiste ad una lenta scomparsa dei volontari. Non perché non ce ne sia bisogno ma perché… “troppi impegni”, “la famiglia mi assorbe tutto il tempo”, “dovrebbe pensarci lo Stato, mica si può lasciare sempre tutto sulle spalle della povera gente”, “e chi me lo fa fare… si torna a casa con un gran mal di schiena”… Oppure: “ma devo fare assistenza agli anziani? Io pensavo di giocare con i bambini!”, “Oddio, ma sono disabili? A me vedere certe cose fa un po’ impressione!”, “ma il biglietto dell’autobus me lo devo pagare io? Pensavo che per i volontari fosse gratis”, “ma devo prendermi le ferie? Non è considerato come orario di lavoro?”.
Ricordate quando in seguito al terremoto dell’Aquila, o quello più recente di Amatrice, a causa dell’interruzione di una serie di strade, la protezione civile fu costretta a chiedere a molti volontari di attendere nel consegnare la propria raccolta di beni? Vi ricordate di quante persone ci sono rimaste male? Di quante interviste sono state fatte a persone che invece di comprendere lo stato di emergenza erano infastidite di non essere lì, protagonisti nei primi momenti, a filmare con il proprio telefonino le immagini del dolore e del disastro?
Oggi il volontario, non sempre ma sovente, vuole scegliere, dettare i tempi, vuole trarre il massimo guadagno dal minimo sforzo, cerca la prima pagina, vuole un riscontro materiale personale. Questo però non è volontariato. Gli possiamo dare un altro nome, ma questo non è il volontariato che noi intendiamo. Il volontario è invisibile, lavora quando nessuno lo vede, perché nessuno ha messo una telecamera per riprenderlo quando tiene la mano ad una persona che non conosce. Il vero volontario torna a casa stanco ma contento e spesso sa che difficilmente può condividere le emozioni che ha provato, spesso si sorprende nel constatare che è riuscito a fare ciò che pensava non avrebbe mai fatto. Il volontario lo riconosci perché ha un sorriso interiore, che si accenna sulle labbra e che emana una luce speciale dagli occhi. Fa quello che gli viene chiesto, quando c’è bisogno e nei modi in cui c’è bisogno. Se la violenza e l’egoismo sono parte integrante della natura umana possono esserlo anche la solidarietà e la generosità. È una questione di scelte.
Cristina Terribili
psicologa-psicoterapeuta