Il 12 aprile di 10 anni fa monsignor Guido Santalucia, arciprete per 28 anni della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Camposampiero, provincia di Padova, era chiamato alla Casa del Padre.
La signora che quotidianamente andava a sbrigare le faccende domestiche, non trovando le serrande alzate, capì che qualcosa non andava: entrata in casa lo trovò privo di vita, seduto in poltrona, il breviario aperto sulle Lodi.
Ma chi era monsignor Guido?
Un grande prete, un eccellente predicatore, uno di quei sacerdoti che, quando ascoltavi le sue omelie, ti veniva spontaneo dire: “La fa per me, oggi, la predica?”.
Era nato ad Onigo di Pederobba, in provincia di Treviso, il 15 ottobre 1919, da famiglia di contadini; il padre, per mantenere moglie e tre figli piccoli, era andato a lavorare in Germania e in California, ma era tornato per combattere nella Grande Guerra.
La madre, quando la guerra arrivò al Piave, andò profuga in Sicilia e ritornò solo a conflitto finito, quando il marito andò a prenderla. Onigo era stato completamente distrutto e la famiglia Santalucia fu una delle prime a tornare al luogo di origine.
Lui nacque nella casa del farmacista che, con il medico e il parroco, era stato tra i primi a ritornare.
La sua Fede nacque in famiglia: d’inverno nella stalla si recitava il Rosario, d’estate, quando arrivavano le nubi nere che minacciavano la grandine, la mamma faceva pregare i figli rivolti alla Madonna della Rocca di Cornuda, mentre si bruciava l’ulivo benedetto, venivano accolti i poveri, anche se la famiglia non era ricca…
Dirà in un suo libro, “Confidenze della mia vita di prete”, che in Seminario scoprì che il Vangelo vero, anche se non l’aveva mai letto, la sua mamma lo aveva nel cuore.
Ordinato sacerdote nel 1943, fu vicerettore, padre spirituale e rettore del Seminario di Treviso.
Il periodo del Seminario non fu facile, si attraversava la contestazione e grandi furono le difficoltà con i chierici, tanto che il Vescovo lo sollevò temporaneamente dall’incarico.
Poi nel 1970 la carica di parroco a Camposampiero e anche quella di vicario foraneo.
L’ho conosciuto in quegli anni, quando iniziai a frequentare la parrocchia della famiglia di mio marito.
Era persona sempre disponibile ad ascoltare e a dare consigli a chi si rivolgeva a lui.
Si adoperò moltissimo per i suoi parrocchiani: oltre che il ministero pastorale, l’attenzione ai giovani, l’acquisto e il restauro della casa-famiglia di Spello, le visite alle famiglie della parrocchia.
Quando nel 1998 fu sostituito da un nuovo parroco, per raggiunti limiti d’età, si occupò assiduamente della chiesetta della Madonna della Salute, piccolo edificio di culto in centro al paese.
Celebrava lì la sera del sabato e i fedeli erano talmente numerosi che, oltre che dentro, si assiepavano fuori dalla chiesa per ascoltare lui.
Lo ricordo la Settimana Santa del 2013.
Ero a casa di mia suocera per la Pasqua.
Alla funzione dell’Adorazione della Croce si mise in ginocchio, senza prostrarsi (aveva quasi 94 anni!), e la domenica di Pasqua celebrò la Messa serale, distribuì l’Eucaristia e, dritto come un fuso, tornò all’altare, salendo i cinque gradini che portano al presbiterio senza alcuna difficoltà.
Seppi della sua dipartita ma non potei partecipare alle esequie, celebrate da tre vescovi e un centinaio di sacerdoti e partecipate da un migliaio di fedeli; volle essere sepolto nella terra, all’ingresso del camposanto.
La sua tomba non è mai priva di fiori o di lumini.
Il suo ricordo non può essere cancellato in chi l’ha conosciuto.
Franca Sarasso
Redazione Web