La fotoreporter americana Ruth Orkin (Boston 1921-New York 1985) avrebbe voluto fare la regista, ma all’epoca il mondo cinematografico era solo maschile, per cui fu costretta a cercare la sua strada altrove e si orientò sulla fotografia.
Fino al 16 luglio le sale di Palazzo Chiablese ospitano la più importante rassegna mai organizzata sulle immagini di Ruth Orkin, che fu oltre che fotoreporter, fotografa e regista statunitense tra le più importanti del 20° secolo.
Attraverso 156 scatti fotografici originali, prevalentemente in b/n, si snoda dal 1939 fino a fine anni ‘60 l’attività professionale della Orkin.
L’esposizione affronta il suo impegno fotografico e tecnico da un angolo visuale nuovo, all’incrocio tra immagine fissa e quella in movimento.
Abituata a frequentare i set cinematografici di Hollywood tra gli anni ‘20 e ‘30 poiché sua madre, Mary Ruby, attrice di film muti, la portava con sé, cercò di catturare ogni segreto di quanto vedeva.
A dieci anni ricevette in regalo la prima macchina fotografica, una Univax da 39 centesimi con la quale realizzò i primi scatti.
Affascinata però dal cinema cercò sempre di inventare un linguaggio che le consentisse di far dialogare questi due mondi diversi.
La sua passione per il cinema emerge chiaramente nel suo primo road movie del 1939 quando attraversò in bicicletta gli Stati Uniti da Los Angeles a New York.
Le sue didascalie sono fotogrammi di un film.
All’inizio degli anni ‘40 studiò fotogiornalismo a Los Angeles, al City College, e lavorò come fotoreporter per riviste come Life, Look e Ladies Home Journal.
Per Life realizzò anche un reportage nel 1951 al seguito della Israeli Philarmonic Orchestra. Si trasferì poi a New York ove divenne membro della Photo League, cooperativa di fotografi neworkesi, e lavorò come fotografa nei locali notturni.
In quel periodo, peraltro, sperimentò alcuni scatti molto interessanti e presenti nella mostra.
Con Dall’alto, l’artista catturò perpendicolarmente da una finestra gli avvenimenti che si svolgevano per strada riprendendo persone ignare di essere oggetto della sua attenzione.
A molti anni di distanza tornò su questo genere di fotografia.
Da una finestra situata su Central Park la Orkin infatti ripropose la stessa inquadratura, effettuata nelle varie stagioni riprendendo quindi le tonalità diverse delle foglie e degli alberi quasi a rappresentare lo scorrere del tempo.
La mostra documenta anche il viaggio compiuto dalla Orkin in Italia nel 1951, a Venezia, Roma e Firenze.
Proprio a Firenze la fotografa incontrò Nina Lee Craig, studentessa americana che le fece da modella per un servizio in cui intese narrare l’esperienza di una donna che viaggia da sola in un Paese straniero.
Di questo servizio, American Girl in Italy, in esposizione c’è una delle immagini più iconiche e famose, quella in cui Nina passeggia per le strade di Firenze in mezzo ad un gruppo di uomini che ammiccano al suo passaggio.
Al cinema riuscì poi ad approdare, ma accanto al marito Morris Engel, come regista indipendente nel 1953 con Little fugitive, che ripercorre la storia di un bambino fuggito da Coney Island perchè convinto di avere ucciso il fratello.
Il film, candidato a Oscar e Leone d’argento al Festival di Venezia, fu considerato da Truffaut fondamentale per la nascita della Nouvelle vague e importante per l’ispirazione del suo film I quattrocento colpi.
Della sua frequentazione dei set cinematografici abbiamo una serie di ritratti che spaziano anche in altri settori, come la musica e la scienza.
Ne ricordiamo alcuni: Roberto Capa, Marlon Brando, Woody Allen, Leonard Bernstein ed Orson Welles.
Luisa Marucco
Redazione Web