Continua la fuga dalle urne: dopo le politiche e le regionali, anche alle comunali c’è stata una minore partecipazione elettorale, più rilevante al Nord (in Piemonte ha votato il 55%), più contenuta al Sud (in Campania il 64%); è un segno crescente della crisi di fiducia tra cittadini e istituzioni o, meglio, della difficoltà dei partiti a intercettare l’adesione dell’opinione pubblica, con un limite obiettivo dell’offerta politica attuale.
Dalle urne non è giunto lo scossone al quadro politico: il destra-centro prevale come alle politiche (4 Comuni capoluogo al primo turno), ma non sfonda; anche nei sondaggi la Meloni non supera il tetto del 30%; il centro-sinistra mantiene due centri, ma non sovverte i rapporti tra le coalizioni: la Schlein ferma il declino del Pd (con Enrico Letta era sceso al 15%), ma non va oltre il bacino elettorale dei Ds di Piero Fassino. E per i ballottaggi di fine-maggio in 7 capoluoghi le previsioni sono analoghe.
Ora le forze politiche già guardano alle consultazioni Europee (tra un anno), con problemi rilevanti nelle coalizioni. Nel centro-sinistra il campo largo resta un sogno: il leader pentastellato Conte ha confermato il no ad alleanze strutturali con il Pd, accrescendo la sua distanza in politica estera, con la scelta di un netto dissenso dal sostegno all’Ucraina; sui temi etici mantiene una linea di basso profilo, lasciando alla Appendino la partecipazione alle iniziative sulle proposte del movimento Lgbtq; contrario infine ad ogni alleanza con il Terzo Polo, rendendo vana l’illusione del campo largo. La Schlein, a sua volta, deve fronteggiare il dissenso interno: dopo il professor Cottarelli, anche l’euro-parlamentare Patrizia Toja minaccia l’uscita, sia per la proposta di modificare il nome della formazione europea (lasciando “socialisti” senza “democratici”) sia per la linea sui temi etici, in particolare sulla maternità surrogata. Il Terzo Polo, ancora diviso tra Calenda, Renzi e i Radicali, deve recuperare un assetto interno; in ogni caso alle Europee correrà da solo, su una linea liberal-democratica.
Tensioni anche nella maggioranza di Governo, in particolare tra FdI e la Lega. Sulle riforme istituzionali la Meloni, anche per “agganciare” il Terzo Polo, insiste sul premierato elettivo, mentre la Lega “tiene” sulla tesi del Presidenzialismo. Soprattutto, il Carroccio chiede il varo, prima delle Europee, del disegno di legge sull’autonomia differenziata del ministro Calderoli; a riguardo Meloni, frena perché teme di perdere consensi nel centro-sud a favore di Conte, in considerazione del contenuto “nordista” dell’iniziativa della Lega. Anche sul piano europeo ci sono problemi: il ministro Giorgetti (pressato da Salvini) continua a rinviare l’adesione dell’Italia al trattato sul MES (il Meccanismo Europeo di Solidarietà), con i partner europei che minacciano ritorsioni sul Governo per le misure sull’immigrazione e sui fondi (Pnrr). Lo stallo indebolisce lo spazio contrattuale della premier a Bruxelles.
Ma la maggioranza si ricompatta invece nell’occupazione del potere, dalle nomine negli enti pubblici, nella Polizia, nella Guardia di Finanza alla principale azienda culturale italiana, la Rai. Qui il centro-sinistra, invece, ha evidenziato il punto più alto delle sue divisioni: la presidente, vicina a Renzi, ha espresso un voto determinante per la svolta a 360 gradi; il Pd si è opposto nettamente, in particolare sulla “rimozione” di Fabio Fazio, mentre i Pentastellati, con il loro rappresentante, si sono astenuti: e già i media parlano di accordi di Conte con la Meloni per alcune nomine “gradite” di direttori Rai.
Questo quadro complessivo, così spezzettato e confuso, non favorisce la partecipazione politica e non incoraggia gli elettori, mentre la vita democratica ha bisogno di scelte programmatiche di alto profilo, non succubi della dittatura dei sondaggi.
L’anno che ci divide dal voto europeo non può trascorrere nell’attesa del verdetto tra la Meloni e la Schlein: ci sono altre priorità, a cominciare dal quadro economico-sociale. Bruxelles ha migliorato le previsioni sull’Italia (non recessione, ma crescita dell’1%); restano tuttavia sul tappeto le richieste dei sindacati per una giusta riforma fiscale, per una lievitazione dei salari che contenga gli effetti negativi dell’inflazione all’8%, mentre gli studenti, con la protesta delle tende, sollecitano misure contro il caro-affitti nelle grandi città. Rimane poi il “nodo sanità”, anche se la pandemia è finita.
Urgerebbero più fatti e meno passeggiate nei talk-show.