Come può nascere l’idea di portare una quindicina di persone detenute nel carcere di Ivrea a mostrare il loro lavoro al Salone Internazionale del Libro di Torino?
Non è forse il carcere, quello della nostra città come pressoché tutti gli altri del Paese, il regno dell’ozio?
Cosa potrà mai uscire di buono, da essere addirittura mostrato?
Sì, certo, c’erano state le rappresentazioni in carcere e, a marzo, nel Teatro della Città, il “Giacosa”: con il tutto esaurito, emozioni e commozioni, applausi a non finire, ma il Salone Internazionale del Libro…
È una idea che nasce proprio dal considerare il disastro prodotto dall’ozio delle giornate vuote che, secondo qualcuno dovrebbero far marcire le persone.
E che rischiano di farlo davvero.
Dall’osservare come lo scartare le persone le incattivisca e le allontani.
È una idea che nasce e cresce dall’osservare che una proposta di attività seria, con operatori preparati e capaci di empatia, riesce a coinvolgere persone che – non senza fatica e iniziali tentennamenti – cominciano a crederci, a impegnarsi, a superare pigrizie e limiti, a fidarsi che non sarà una illusione.
E succede che lavorando e lavorando il prodotto comincia a vedersi, a piacere, e viene voglia di mostrarlo, di regalarlo, di mostrare di cosa siamo stati capaci.
Di far capire che le persone in carcere possono essere delle risorse e non scarti.
Essere risorse anche per la comunità non solo per se stessi.
Come vuole la Costituzione, che chiede a tutti di contribuire al bene comune (art. 4), che impone che la punizione non possa esserci senza la proposta di crescita, di educazione (art.27), che dice che il nostro stare insieme si fonda sul lavoro (art. 1).
Sì, forse l’idea di andare fino al Salone del Libro è venuta a persone che sentono che il nostro stare bene insieme è possibile cercando nella saggezza della Costituzione suggerimenti e ispirazioni.
Chissà quanto lavoro utile potrebbero fare le oltre duecentocinquanta persone ristrette nel nostro carcere!
Armando Michelizza
Redazione Web