Dopo il lungo isolamento causato dal Covid-19, passati quasi due anni ho ripreso ad andare a trovare il caro Emilio. Nel frattempo Mr. Parkinson ne ha approfittato. Emilio mi accoglie con le braccia incrociate sul petto: un gesto che potrebbe indicare pace e speranza, invece racconta di una costrizione più forte. Una “croce” più serrata.
La parola, è diventata un sospiro flebile ed un moto tremante delle labbra. Poi improvvisamente, con voce decisa quasi irritata: “Dammi quelle carte”, mi intima. Io però non vedo fogli né carte sul piccolo tavolo e sull’armadietto, nel piccolo soggiorno della casa di riposo. “Sposta la poltrona”, dice; ma io non vedo poltrone, solo la sedia su cui sono seduto e un tavolino. Sono disorientato. Mi siedo e mi limito a guardarlo, sperando che almeno mi riconosca. Ho iniziato a raccontare: c’era da dire, dopo tanto tempo.
Solitamente nel soggiorno della RSA siede una signora napoletana, ultranovantenne, lucida e arguta. Mentre io arrivavo lei se ne stava andando a pranzo e mi ha ceduto la sua sedia. Non mi ricordavo il suo nome: “Sono Mafalda Noschese”, mi dice. Le replico: “Un nome famoso”, considerando il cognome condiviso con il famoso imitatore napoletano. “È un nome da principessa”, ribatte lei riferendosi con ironia a Mafalda di Savoia.
Il tempo, nel silenzio e nella fatica di comunicare, dominato dalla debolezza e dal decadere inesorabile, è carico di tristezza. Quando mostro le foto dell’ultimo mio nipote Martino e racconto la sua storia, Emilio ha un sussulto. Ci metto tanto a capire, ma mi chiede di andare in camera a prendere gli occhiali per vedere le foto! Sono affaticato da questa distanza che la malattia ha creato e che solo a sprazzi si riesce a colmare. Il pensiero della inutilità del mio essere lì mi pesa: perché tanta sofferenza?
Proprio allora ritorna Mafalda e mi guarda con un gran sorriso: “Emilio è contento quando lo vieni a trovare!”. Capisco allora che devo piacere a Emilio e non a me: né posso giudicare quanto abbiano successo i miei tentativi di comunicare. Le braccia e anche le gambe di Emilio, nella loro rigidità sono incrociate, facendo pensare al Signore in croce, nella Sua via dolorosa. Piacendo a Emilio, piaccio a Cristo.
Fac ut ardeat cor meum in amando Christum Deum, ut sibi complaceam. Fa’ che arda il mio cuore, che si commuova nell’amare Cristo Dio nei sofferenti, per vivere come piace a Lui. (Giovanni Battista Pergolesi, Stabat Mater).