“La tempesta quel che non porta via appesta”: vecchio detto contadino, e la pesantissima grandinata e tromba d’aria di un paio di settimane fa ci ricorda che è proprio così.
Caluso è terra magnifica per i vigneti, quelli storici di erbaluce come pure quelli nuovi di uve rosse, ben curati, impiantati da giovani viticoltori.
Ma i tralci, oltre a non fruttificare più questo anno, vegeteranno con difficoltà anche il prossimo anno, il numero delle loro gemme sarà ridotto.
Meno gemme, meno grappoli, meno vino.
Per buon peso, la potatura e la legatura che si faranno il prossimo inverno saranno lunghe e difficili perché i tralci rimasti, ammaccati, tenderanno a rompersi anziché curvarsi quando verranno lega[1]ti ai fili di ferro delle topie.
A Caluso la grandine ha colpito senza pietà, la zona in cui più ha martellato è quella della stazione e delle colline sotto cui passa la galleria del treno per Candia: poi andando verso Mazzè l’intensità è scemata, sino a scomparire proprio quando finiscono i vigneti e iniziano prati e campi.
“È vero – commenta Bartolomeo Merlo, presidente della Cooperativa Produttori Erbaluce nonché del Consorzio di tutela dei vini canavesani – che i nostri soci sono diffusi in tutti i paesi del calusiese: ma essendocene molti che conducono una piccola vigna per tradizione e passione, il rischio è che di fronte a un danno del genere decidano di abbandonare il vigneto. Questo sarebbe un danno per l’economia e per l’ambiente”.
Grande voglia di continuare con maggiore impegno di prima – nonostante il naturale sconcerto – anche da parte di giovani viticoltori come Roberto Crosio, che ha avuto un vigneto modello di nebbiolo, proprio sulle colline che portano a Candia, completamente distrutto; o di Bruno Giacometto, il cui bel vigneto di erbaluce dai filari perfettamente allineati è lì lungo la statale per Mazzè a mostrare a tutti cosa può fare la grandine.
Non si può far nulla per mitigare i danni?
A dire il vero nel vignet no: a differenza della maggior parte delle coltivazioni non è possibile coprire le viti con reti antigrandine, la rete impedisce il ricircolo dell’aria e favorisce l’attacco dei funghi, in primis la peronospora.
Le assicurazioni possono aiutare: ma il vignaiolo vorrebbe poter avere la sua uva; soprattutto sa che avrà problemi anche l’anno successivo.
Tempo fa però, quando in campagna si era “pratici”, qualcosa si faceva e spesso con ottimi risultati.
Si sparava con i cannoni, ovvero un cubo di cemento riempito di polvere da sparo che spediva un razzo direttamente nell’occhio delle nubi, quelle più grigie e scure, sciogliendo il ghiaccio e provocando pioggia immediata, anziché grandine.
Chi non ricorda le salve di artiglieria che partivano dall’enorme frutteto di Campagnette (a Casale di Mazzè)?
Altro metodo di una certa efficacia che sfruttava l’onda d’urto sonora, era far suonare a martello le campa[1]ne di ogni campanile ogni volta che le nubi si avvicinavano minacciose.
Oggi sparare razzi con tutti gli aerei che vola[1]no probabilmente è un problema… ma far suonare le campane si potrebbe.
Perché non provarci?
b.m.
Redazione Web