Il voto regionale in Molise (oscurato sui media dalle gravissime vicende russe) manda segnali di rilevanza nazionale. Il “campo largo” Pd-M5S non decolla, anzi: l’intesa Conte-Schlein ottiene un risultato inferiore alle politiche di settembre (i Pentastellati crollano dal 24 al 6%, il Pd scende dal 18 all’11%). Contestualmente il Terzo Polo, diversamente dalla Lombardia, abbandona la linea di equidistanza e scende in lista con il centro-destra che conquista la Regione con il Governatore Francesco Roberti (63%). Calenda e Renzi potrebbero seguire questa linea anche nelle prossime regionali in Piemonte (nel 2024), divenendo la “quarta gamba” del Governo Meloni.
La crisi del M5S era emersa con l’intervento di Grillo al meeting nazionale: una linea di opposizione, in netta contraddizione con la ricerca di Conte di un’intesa con i Dem. A sua volta il Pd, con la scelta “libertaria” della segreteria Schlein, continua a perdere, dalle amministrative alle regionali. Permane lo scontro tra riformisti e radicali; ora, sul fronte dell’estrema sinistra, si è aggiunta la critica di Fausto Bertinotti, secondo cui la nuova segretaria non è di sinistra, ma esprime la tendenza “liberal” di radice americana.
Il centro-sinistra appare ancora più diviso di quanto fosse nell’era Letta-Zingaretti, né il Terzo Polo pare decollare per la rottura clamorosa tra Renzi e Calenda. Se ne avvantaggia la maggioranza di centro-destra, nonostante le obiettive difficoltà nell’azione di governo, anche per il crescente dissidio “elettorale” tra Salvini e la Meloni. Emblematica la scelta del generale Figliuolo a commissario per l’alluvione, una opzione tecnica già scoperta da Draghi, resasi necessaria per superare le opposte candidature di Fratelli d’Italia e Lega.
È soprattutto la politica estera il punto debole della coalizione di Governo. Sulla guerra Russia-Ucraina i fatti recenti hanno confermato la scelta atlantica della Meloni e hanno attenuato le spinte pro-Putin esistenti nella Lega e in Forza Italia. Ma resta critica la relazione con Bruxelles, anche per le precedenti posizioni euroscettiche, sia della Meloni sia di Salvini, sul Mes (Meccani-smo europeo di stabilità), ovvero il Fondo salva-Stati.
La premier propone una trattativa complessiva con Bruxelles su Mes, Pnrr, Patto di stabilità, anche per giustificare, a settembre, un voto favorevole a uno strumento sempre osteggiato. Il ministro Giorgetti ha già anticipato un parere positivo, ma Salvini resta del tutto contrario. Peraltro i vertici UE non sembrano d’accordo sulla trattativa e anche le polemiche tra la BCE e i ministri Tajani e Salvini segnano un clima di freddezza; l’Italia – secondo alcuni media – potrebbe perdere il posto nella BCE già ricoperto dal nuovo Governatore della Banca d’Italia, Panetta.
I rapporti FdI-Lega restano tesi anche sul tema, delicatissimo, dell’autonomia regionale differenziata: il Carroccio punta a ottenere il sì prima delle Europee, la premier chiede, invece, il varo della riforma presidenziale, con l’elezione diretta del presidente del Consiglio (su questa proposta converge il Terzo Polo). Anche sulle polemiche dell’opposizione relativamente alle vicissitudini della ministra Santanché, accusata di falso in bilancio nella gestione delle sue aziende, la Lega ha dato spazio politico alle contestazioni. Secondo l’ex ministro Di Maio i problemi per la Meloni verranno, come per i Governi Conte e Draghi, dalle rivendicazioni di Salvini, che trova spazio nel vuoto delle opposizioni; dipenderà molto dal risultato delle elezioni europee, divenute un bis delle politiche.
Stenta invece a decollare il confronto tra Governo e sindacati su temi sociali di grande rilievo, come la riforma delle pensioni e gli stanziamenti per la sanità; è pur vero che i controlli di Bruxelles sul deficit statale sono severi; ma nella partita con l’Europa, anziché la difesa ideologica di posizioni euroscettiche del passato, sarebbe essenziale puntare su alcune chiare priorità di natura sociale, in grado di incidere sulle condizioni di vita delle popolazioni.
La classe politica non deve dimenticare che anche nelle elezioni in Molise la maggioranza degli elettori è rimasta a casa, confermando la crisi tra popolo e istituzioni democratiche. È una situazione seria che deve preoccupare tutti, governo e opposizione; occorre recuperare uno spirito costruttivo, pur nella diversità dei ruoli, superando la logica della campagna elettorale permanente; la premier deve ricordarsi che i suoi voti esprimono il 15% della popolazione, la Schlein il 10%. La ricerca dell’identità non può prevalere sulla promozione del “bene comune” del Paese.