Dopo che monsignor Edoardo Cerrato ha annunciato la sua nomina a parroco di Strambino, quello attuale per don Maurizio Morella è un momento di riflessione: con lo sguardo rivolto al futuro, ma anche l’animo colmo di malinconia, perché sta per lasciare una comunità con la quale aveva stretto un legame importante, consolidato nel difficile periodo della pandemia.

Alcuni mesi fa – ricorda don Mauriziomonsignor Vescovo aveva indirizzato al clero una lettera in cui, numeri alla mano, mostrava l’ormai drastica riduzione dei sacerdoti in diocesi e chiedeva suggerimenti, proposte e disponibilità per una migliore distribuzione degli stessi all’interno delle sette Vicarie. Confesso che a suo tempo non ero riuscito a formulare proposte concrete, anche perché non credevo la cosa potesse toccarmi direttamente: tuttavia avevamo affrontato la questione in alcune riunioni della Vicaria Chivassese. Quando il Vescovo mi ha proposto di trasferirmi nelle parrocchie di Strambino, Carrone, Cerone e Crotte, l’unica motivazione per un rifiuto sarebbe stata che a Torrazza mi trovo davvero bene. Una risposta che un sacerdote non può dare: siamo chiamati a svolgere il nostro ministero dove il Signore, in questo caso attraverso la mediazione del Vescovo, ci chiede… Pertanto, se il Signore mi vuole a Strambino, accetto con gioia”. Quale è stato il suo obiettivo principale in questi quattro anni? Su quale tema ha focalizzato le energie? “Nessun obiettivo principale: se la Chiesa ne ha uno, è la salvezza delle anime. I sacerdoti sono chiamati a rendere presente Cristo e la Sua opera a chi viene loro affidato”.

Quale progetto avrebbe voluto, più di ogni altro, portare a termine?

Non parlerei di progetto. I progetti li fanno le aziende, la Chiesa non è un’azienda, ma la famiglia dei figli di Dio. Ho cercato di essere padre, fratello, amico: tante volte l’ho fatto male, tante volte l’ho fatto poco; se qualche volta l’ho fatto meglio è stato grazie a Dio e alla pazienza dei miei parrocchiani”.

Che cosa l’ha colpita di più di questa comunità?

In questi quattro anni caratterizzati da due di pandemia potrei dire che ho tanti ricordi belli; mi soffermo sul primo che mi viene in mente: la costante cordialità, cortesia e disponibilità di tutti. Questa è la vera ricchezza umana e religiosa di una parrocchia: in un mondo che si presenta sempre più come soggettivista, vivere in un luogo dove la gente ti saluta sempre, dove tanti, potrei dire tutti quelli che ho avuto la grazia d’incontrare, si dimostrano estremamente disponibili e solerti per qualsiasi necessità la parrocchia abbisogni, è davvero un dono immeritato”.

Un pensiero per i fedeli di Torrazza e uno per quelli delle comunità che va a incontrare.

Il pensiero è lo stesso, sia per Torrazza che per le parrocchie strambinesi: quattro anni fa sono arrivato a Torrazza sapendo poco o niente di questa comunità, che ho apprezzato, amato e che lascio con un po’ di umana sofferenza, sperando che le tante forze buone presenti in parrocchia sappiano mettere a frutto ancora di più i talenti che il Signore sempre offre a chi domanda con cuore sincero. Il mio successore troverà disponibilità e amore per la propria parrocchia, a lui auguro di trovarsi bene come è stato per me. Vado a Strambino con gli stessi sentimenti con cui sono giunto a Torrazza: conoscendo poco o niente delle parrocchie di questa importante realtà del Canavese. Per il resto, mi affido alla Provvidenza e alla infinita bontà di Dio, pregando di poter essere sempre uno strumento docile nelle sue mani. Vado a Strambino per servire e portare a Cristo chi mi è affidato. I parroci, anche i migliori, passano… Solo Cristo resta. Questa è la consapevolezza che mi anima nel momento di un nuovo inizio”.

Annarita Scalvenzo

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Redazione Web