Arrivando in Cina a Foshan in questo periodo, si è accolti dal caldo soffocante e io non sono abituato. Sono solo e devo arrangiarmi con quel poco di inglese che mi è rimasto dalle superiori, dal wi-fi gratuito negli aeroporti e dai servizi di messaggistica americani e cinesi. La luce e l’aria sono differenti. Quello che stupisce di Foshan che è una città che pullula di grattacieli ma è tuttavia letteralmente sommersa nel verde. In certi passaggi sembra di stare nella jungla di Salgari.

Ti aspetteresti un gran rumore dal traffico eppure è più fastidioso quello sul lungo Dora di Ivrea. Qui sono più drastici: motori a scoppio non ce ne sono quasi più, se non ibridati con l’elettrico. Le vecchie biciclette nere dell’epoca di Mao le hanno barattate con milioni di biciclette elettriche. Eppure Foshan a livello mondiale guida la cordata della scommessa sull’idrogeno.

La mia finestra dà sul “lago delle cento lanterne rosse”; al centro una vecchia pagoda su una collina rende lo skyline unico, caratterizzato da quella sagoma che sembra un ideogramma e che ti fa capire dove ti trovi. La città fa parte del lato occidentale della zona economica del delta del “fiume delle Perle”, la cui area metropolitana contiene oltre 65 milioni di persone, esclusa Hong Kong, rendendola la più grande area urbana del mondo. Mi sembra impossibile spostarmi in questa vastità, ma mio figlio Alberto che vive lì da oltre tre anni, mi convince del contrario.

Mi carica in bici elettrica alle 4 del mattino, dopo un viaggio di due giorni a bordo dell’Airbus A380 e un fuso orario di 6 ore di differenza, e mi porta a zonzo a tutta velocità nella città che è letteralmente deserta. Ci sono solo dei negozi piccoli aperti. Ci riforniamo di birra e con la bici elettrica andiamo a bere prima che la temperatura di 40° le arroventi.

Siamo sulla gradinata del lago. Voglio toccare l’acqua: è bollente! Poi andiamo a dormire perché abbiamo molte cose da raccontarci e domattina saremo a far colazione al Din San, dove lui ha ambientato il suo primo documentario sulla Cina.

Mi tranquillizza anche sulla sensazione di caldo: un paio di giorni e mi passerà e sarò sempre in un bagno di sudore. Mi vengono in mente le immagini dei personaggi sudati del film Apocalipse now di Francis Ford Coppola, ambientato in Vietnam, quando il capitano Willard (Martin Sheen) si sveglia in un bagno di sudore a Saigon prima di andare a cercare il colonnello Kurz (Marlon Brando) nel suo viaggio negli abissi dell’anima.

In fondo, la seconda tratta del volo Dubai – Guangzhou (Canton) è stata una linea retta sul planisfero quasi coincidente con il tropico del Cancro la linea immaginaria che secondo il reticolo geografico, corrisponde al tropico terrestre situato nell’emisfero boreale, a nord rispetto all’equatore.

Una rotta che mi ha fatto sorvolare gli Emirati Arabi Uniti (praticamente nel deserto), il golfo di Oman, il Pakistan, l’India, il Bangladesh, il Myanmar, e a nord del Vietnam sono entrato nello spazio aereo cinese per atterrare nel cuore della notte a Guangzhou. Dove c’era ad aspettarmi la famiglia cinese di mio figlio.