(di Filippo Ciantia) Era il terzo giorno di trattamento. Le condizioni cliniche non erano ancora migliorate: la febbre era alta, saliva con brividi, seguita da sudorazione profusa. Avevo voluto fare io stesso il vetrino di controllo per verificare la gravità dell’infezione. I parassiti erano ancora tanti nel sangue periferico. Solo in quinta giornata i farmaci fecero effetto. Avevo seguito tanti bambini con la malaria, ma ora dovevo curare mia figlia.
Si chiamava Awor perché nata di notte. Monica era sempre stata minuta e questa malaria l’aveva prostrata. Pensai che ce l’aveva fatta perché doveva realizzare qualcosa di importante nella sua vita.
Dopo 8 anni a Kitgum eravamo andati a vivere in capitale, a Kampala. Frequentata la scuola italiana, intitolata all’illustre Giuseppe Ambrosoli, completò le medie inferiori. Quando la sorella maggiore, dopo la maturità, rientrò in Italia per l’università, Monica non voleva più stare in Uganda alla scuola internazionale americana; colse al volo la possibilità di un anno negli USA a New York presso amici. L’anno si allungò, dal 1999 ad oggi.
Sembrava la più fragile, ma osò andare a soli 15 anni, pur sempre in un mondo molto diverso anche dall’Uganda urbana. Dopo il liceo, l’università e la laurea in Scienze Naturali; l’insegnamento e il matrimonio. Poi due figli ad aumentare la schiera dei nostri nipotini.
Aveva un compito da compiere, come preannunciato durante la lotta di tanti anni prima contro la malaria.
Ai controlli di routine si scopre che il terzo figlio è affetto da sindrome di Edwards: un bambino speciale che ha tre, invece di due, cromosomi 18. Nonostante le insistenze dei medici i genitori decidono di non abortire: “Questo non è un feto affetto da trisomia 18, è nostro figlio!”
Monica aveva qualcosa di grande da fare. Con il marito decidono di conoscere loro figlio. Matteo, alla nascita, viene chiamato anche Rubangakene, che in lingua acholi significa “solo Dio sa”. Monica aveva il compito di testimoniare che la vita vale sempre e si può custodire ed accompagnare anche per le poche ore che Rubangakene visse.
In cambio, Dio le ha poi donato un’altra bimba, Teresa, ed ora un’altra gravidanza. Chi dà, riceve: in abbondanza. Dio solo sa.