Il feudo di Brusasco fu acquistato il 12 febbraio 1722 dall’avvocato Giovanni Ottavio Cotti (Neive, 1660 – Torino, 4 maggio 1742), primo presidente della Camera dei Conti che, dal 1731, poté fregiarsi del titolo di Conte di Brusasco, a cui si aggiungerà nel 1737 il titolo di Signore di Scalaro. I titoli furono trasmessi al primogenito, Ottavio Michele (To-rino, 23 maggio 1701 – ivi, 26 novembre 1780), il quale acquistò altre signorie, quali quelle di Monteu da Po e di Alice Bel Colle, ed avviò i lavori di ristrutturazione del Castello di Brusasco, forse su progetto di Giovanni Maria Molino. Sposò, in prime nozze, il 7 febbraio 1728, Anna Battista e, in seconde nozze, Angela Maria Ferraris. Ebbe tre figli: Giovanni Antonio Ottavio (Torino, 28 settembre 1729 – ivi 17 settembre 1760), Gianfrancesco e Secondo Camillo. Il primogenito si unì in matrimonio con Orsola Gabriella Filippa della Martiniana ed ella diede alla luce, l’8 gennaio 1761, Giuseppe Luigi Cotti.
La famiglia risiedeva a Torino nel palazzo di Via Bligny 5, progettato dall’architetto Filippo Giovanni Battista Nicolis di Robilant, adiacente alla Chiesa del Carmine, capolavoro di Filippo Juvarra dove Luigi venne battezzato. Abbracciò giovanissimo la carriera militare e si iscrisse alla facoltà di Legge dell’Università di Torino dove ebbe come insegnante di Diritto Civile il Senatore Giovanni Francesco Arcasio. Nel frattempo, iniziò a coltivare i propri interessi in campo musicale: prese lezioni da Bernardino Ottani, Maestro di cappella della Cattedrale di Torino, e avviò un rapporto epistolare, poco corrisposto, con il celebre musicista e didatta bolognese Padre Giovanni Battista Martini.
Cotti conseguì la laurea il 14 aprile 1781; in suo onore, la Colonia parmense della Accademia dell’Arcadia, alla quale egli era iscritto sin dal 1780 con il nome di Dalindo Stinfalico, gli dedicò una raccolta di composizioni poetiche inviate a stampa dal celebre Giovanni Battista Bo-doni; l’eminente scienziato Giovanni Battista Beccaria gli recapitò una lettera di plauso. L’8 gennaio 1781 prese in sposa, nella Chiesa di San Dalmazzo, Anna Paola Francesca Faussone di Clavesana da cui ebbe due figli, Alessandro (Torino, 16 marzo 1782 – San Pietro-burgo, 12 settembre 1821) e Luigia Paolina (1783 – 1808), ma già nel 1786 il matrimonio era naufragato: la moglie fece ritorno nella casa paterna e il Cotti dovette corrisponderle “la somma di lire 4000 di Piemonte annue”, oltre a lire 1000 a favore della figlia, rimasta nubile, al raggiungimento della maggiore età.
A partire dal giugno 1782 iniziò una lunga serie di viaggi: prima a Parma, ospite della Duchessa di Borbone, poi a Bologna e in seguito a Firenze dove fece rappresentare quattro suoi lavori, sotto lo pseudonimo di Dalindo Stinfalico: nel 1783, la farsa in due atti Il pallone volante al Teatro de’ Risoluti; nel 1784, La somiglianza in Piazza Nuova; sempre nel 1784, il dramma giocoso in due atti Il cavaliere alla moda e il dottore all’usanza al Teatro degl’Intrepidi detto la Palla a corda; nel 1785, il dramma giocoso in due atti Chi è cagion del suo mal pianga se stesso al Teatro della Pergola. In quel periodo, soggiornò a Napoli dall’ottobre 1782 fino a febbraio 1783, quindi a Roma per fare rientro a Firenze a dicembre 1783, poi ancora a Napoli, a Roma e, dall’aprile del 1785, nuovamente a Firenze. Il successo ottenuto con i lavori fiorentini lo indusse a chiedere il 16 giugno 1785 l’aggregazione come Maestro compositore onorario all’Acca-demia filarmonica di Bo-logna, con una sua composizione basata sul mottetto Laudate pueri.
Negli anni 1787 e 1788, Luigi Cotti collaborò come impresario con il Nuovo Teatro di Vercelli: sottoscrisse con la Società dei Nobili un accordo che prevedeva che il teatro venisse inaugurato il 26 dicembre 1787 con l’opera Solimano secondo ossia Le tre sultane; nell’agosto 1789, sempre nel Teatro di Vercelli, fu rappresentata l’opera Il manescalco.
In contemporanea, il Conte Luigi Cotti continuava a rappresentare le proprie composizioni, a sue spese, nel Parco del Castello di Brusasco; questo, unito agli innumerevoli viaggi e alle incessanti avventure amorose, contribuiva a depauperare il patrimonio di famiglia, tanto che la madre, nel frattempo convolata a seconde nozze con il Conte Pietro Francesco Valperga di Rivara, incaricò un delegato al fine di sorvegliarlo e a corrispondergli un assegno mensile. Nel 1790, dopo un soggiorno a Racconigi ospite dei Principi di Carignano, si recò in Olanda per avviare una attività commerciale che lo impegnò, con esiti finanziariamente disastrosi, fino alla primavera del 1792, quando si trasferì in Inghilterra prima di far rientro nel Regno di Sardegna nel settembre dello stesso anno. Nel mese di dicembre raggiunse nuovamente Londra per intraprendere altre attività commerciali che gli avrebbero procurato solo ingenti debiti.
Rientrato nuovamente in patria, il 30 aprile 1794, fu raggiunto da un decreto di interdizione emesso dal Magistrato del Re, il Conte Avogadro, “allorquando scialacquavo da ogni parte, facevo viaggi ad ogni istante, sciupavo con donne”. A partire dal 1796 affrontò delle cospicue spese per la trasformazione del parco del Castello in un giardino all’inglese, su progetto dell’architetto Agostino Vituli, “utilizzando l’antico bastione per creare l’altura alla cui sommità collocare le rovine di un tempietto dedicato all’imperatore Pertinace, mentre alla base fu costruito il grotto con il carcere del conte Ugolino”.
Quando, nel dicembre 1798, i Francesi entrarono in città e instaurarono la repubblica, costringendo Carlo Emanuele IV Re di Sardegna all’esilio, Luigi Cotti “ripigliò di propria autorità la libera amministrazione del di lui patrimonio e l’esazione dei suoi diritti” e fu coinvolto nell’amministrazione della città. La lista dei diciotto membri della Municipalità torinese pubblicata il 12 dicembre 1798 comprendeva anche il Cotti il quale, per le competenze maturate, fu investito delle questioni legate ai pubblici spettacoli. Circa un mese dopo, il 6 piovoso Anno VII (25 gennaio 1799) propose alla Municipalità un progetto di riforma che prevedeva “che tutte le rappresentazioni teatrali sieno vere scuole di morale, il di cui scopo quello di combattere il dispotismo, il fanatismo, l’aristocrazia e l’anarchia” e che “vi sia sempre un buon spettacolo acciò ogni cittadino possa avere un onesto trattenimento”.
Al progetto seguì una Istruzione per il Direttore dei Teatri, presentata il 21 ventoso Anno VII (11 marzo 1799), che indicava nove punti ai quali i direttori dei teatri cittadini dovevano attenersi, quali “far osservare una rigorosa decenza in tutti i Teatri” e non permettere che “si rappresentino produzioni teatrali in cui si mettano in derisione, o si intacchino, li fondamenti di qualsivoglia Religione o che siano contrarie alla morale o ai Principj democratici”. Il documento fu approvato dalla Municipalità e Cotti fu investito dell’incarico di Ispettore dei Teatri. Ma già nel maggio di quell’anno, le truppe Austro Russe entrarono a Torino e ristabilirono la monarchia. Quando l’esercito francese riprese Torino, egli non fu più coinvolto in alcun modo nel governo della città. Si ritirò pertanto nel Castello di Brusasco dove visse fino alla morte che lo colse a soli 43 anni. Il liber defunctorum della parrocchia di Brusasco riporta in data 23 novembre 1804 la sua sepoltura presso il Convento di Ripo d’Argomo, località del tutto sconosciuta. Alla morte del figlio Alessandro, Ministro a San Pietroburgo, avvenuta il 12 settembre 1821 mentre si recava in missione a Costantinopoli, la casata dei Cotti di Brusasco si estinse in quanto egli non aveva contratto matrimonio.
L’asse ereditario passò di mano in mano, fino a Carlo Alessandro Luserna d’Angrogna che donò all’Accade-mia Filarmonica di Torino il patrimonio delle musiche di Luigi Cotti di Brusasco e 35 partiture delle opere messe in scena presso il Teatro Nazionale, databili fra il 1754 e il 1785 e realizzate da appositi copisti, prelevate dall’archivio della Nobile Società dei Cavalieri.
La sua attività musicale fu dimenticata per molti anni.
Ma una riscoperta consentì l’esecuzione di Amore e Psiche, serenata in un atto composta intorno al 1786 che per La Stampa riproponeva “evidenti quanto scontati modelli cimarosiani e paisielliani, non senza qualche reminiscenza mozartiana”, nel parco del Castello di Brusasco il 5 settembre 1981, riproposta il 23 luglio 1983 nel corso del Festival dedicato al Conte insieme a Chi è cagion del suo mal.