Nei primi anni del Novecento milioni di italiani si avventurarono nella traversata degli Oceani per trovare fortuna negli Stati Uniti, in Canada, nell’America del Sud, in Australia. Si aspettavano una terra promessa.

Questo pensiero mi ha colto mentre mi trovavo con mia figlia Monica nel cimitero di Medford, una cittadina nei dintorni di Boston. Eravamo andati a visitare la tomba del nipotino Matteo Rubangakene, che, come significa il suo nome, “Dio solo sa” perché è salito al cielo dopo poche ore di vita.

Monica vive a Boston con la famiglia, grande nonostante la perdita di Matteo. Insegna italiano in una scuola secondaria. Mi aveva sempre sorpreso il fatto che ci fosse un insegnamento della nostra lingua in una high school pubblica americana, con una notevole e appassionata partecipazione degli studenti. Guardando le lapidi del vasto cimitero ho capito perché la lingua italiana è così amata. Monaco, Camuso, Luongo, Bertolino, Morello, Siciliano, De Mattia, Ceddia, Giordano… sono i cognomi che si succedono sulle lapidi. Tanti Italiani arrivarono proprio qui e trovarono la loro terra promessa. Essa divenne anche la loro patria. Infatti, poco più avanti in una distesa di altre lapidi e bandiere a stelle e strisce, ritrovo la litania dei nomi di origine italiana: Del Russo, Falco, Visconti, Zappi. Sono i caduti nelle guerre sotto la bandiera degli Stati Uniti. Lo stesso vale per tantissime famiglie di origine irlandese: O’Brien, Cavanaugh, O’Neill…

Così mia figlia, figlia di italiani, nata in Uganda, sposata negli Stati Uniti con Carlo, italoamericano di seconda generazione, vive perfettamente integrata e ha anche un luogo dove pregare per un suo figlio, nato in questa terra.

Il nostro è un mondo di migranti!

A Milano si è tenuta una Conferenza Internazionale organizzata dalla fondazione Oasis e dall’Università Cattolica che ha visto prominenti personalità di religione cristiana e islamica, politici e accademici, confrontarsi sulla necessità di “cambiare rotta” per affrontare la sfida dei migranti verso l’Europa.

Il Cardinale Scola ha richiamato le parole di Papa Francesco: “I nostri sforzi si possono riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare … si tratta di fare un cammino … per costruire città e Paesi … nel segno della fratellanza umana”.

Ho visto che è stato già possibile e non potrà che esserlo di nuovo nelle nostre terre.