Sono stato nuovamente in una cascina della zona dove producono squisiti formaggi freschi e stagionati con il latte delle mucche della loro stalla. Entrati nel vasto cortile della cascina, un piacevole negozietto è ricavato in un ala dell’antico stabile. Una mamma, Giovanna, con le due figlie Franca e Carla, lavorano al laboratorio del caseificio (preciso che io nelle precedenti occasioni avevo sempre solo visto le prime due).
Insomma, ci torno in compagnia di Amelia, un’amica originaria di questi luoghi, dopo aver passeggiato per le bellissime contrade tra i vendemmiatori e un panorama incredibile alla potente luce di quest’autunno fuori dall’ordinario nelle ore della metà mattina. Amelia conosce stradine di campagna che conducono tra boschi e vigneti ai ruderi di una chiesetta molto antica, dedicata a San Dalmazzo. Conosce inoltre molte persone di questo luogo. Con l’occasione di acquistare del formaggio, ci fermiamo alla cascina a parlare con le tre donne che combinazione sono tutte radunate nel cortile.
Riannodando le fila di discorsi precedenti, la madre Giovanna va in casa a prendermi dei vecchi documenti del servizio militare del padre durante la Seconda guerra mondiale. Me ne aveva parlato già diverse volte e oggi c’è il tempo per dargli un’occhiata. Torna infatti dopo pochi minuti con una manciata di carte e lettere. Sprofondo nella lettura di quei fogli ingialliti e Carla fa alcune considerazioni. Si parla di storia, mi dice che lei quando era giovane ascoltava senza troppo interesse quelle narrazioni e oggi si sente un po’ pentita.
Io replico che a volte non tutti sono interessati ai vecchi ricordi, e lei incalza citando l’esempio di suo figlio che non è interessato alla storia. In realtà seguo sì e no questa discussione, perché i documenti sono interessanti e tra le carte ci sono delle lettere molto belle. Ad un certo punto scivola fuori anche una piastrina di ottone del Regio Esercito con i dati dell’uomo autore di queste carte: cioè il padre di Giovanna, che già tempo fa mi parlava del desiderio di farmele leggere. Vorrebbe capire, ricostruire quel periodo a lei oscuro del 4° Alpini e di suo padre in Montenegro.
Nel frattempo Amelia esce dal negozio e saluta calorosamente Carla, chiedendole come sta e dicendole, tra l’altro: “Oggi non sei in divisa”. Al ché, senza motivo, mi vien da pensare sia un vigile urbano non in servizio. Rimasti nuovamente soli chiedo a Carla se è un militare o un vigile urbano e lei mi risponde qualcosa che però non afferro bene. Ma mi sembrano parole di conferma.
Finito l’esame delle carte prendiamo i formaggi, salutiamo e ci incamminiamo verso casa con la Penny-cane al guinzaglio.
Verso la fine del tragitto le chiedo se Carla faccia il vigile urbano in quel paese. Ma per tutta risposta inizia un dialogo surreale: “Ma chi? Quella signora con cui parlavi?”. “Sì – rispondo io – mi ha detto che faceva il vigile urbano”. E Amelia: “Ma sei sicuro di averglielo chiesto?” e io replico “Sì certo, mi aveva colpito il fatto che tu hai detto che non fosse in divisa”. Amelia scoppia a ridere. Io domando cosa c’è tanto da ridere se uno fa il vigile urbano. Lei mi dice che non ho capito nulla: “In divisa… intendevo il camice bianco di quando lavora per fare i formaggi con la sorella e la madre”.
Mi fermo perché il cane sta annusando qualcosa a terra e decido di stare zitto per non complicare ulteriormente le cose. Ma io che colpa ne ho?