Un acuto osservatore della politica italiana come l’onorevole Marco Follini, già vicepresidente del Consiglio, ha rilevato (su La Stampa) un sostanziale silenzio dei partiti sulla tragedia mediorientale, fatta eccezione per l’iniziale quasi unanime solidarietà ad Israele per l’efferato attacco terroristico di Hamas. Molte le cause: il ridotto interesse per la politica estera dopo la fine delle ideologie, l’accentuata attenzione per le polemiche interne, la priorità ai fatti spiccioli della vita quotidiana… Il risultato è una voce debole dell’Italia (e anche dell’Europa) sullo scacchiere internazionale.
Manca al Paese quella ricerca dell’utopia della pace che nel secolo scorso ha contrassegnato il pensiero e l’azione di grandi leader “morali” come il “sindaco santo” di Firenze Giorgio La Pira, già padre costituente e poi parlamentare per tre legislature della nuova Repubblica. Nel 1958 a Firenze, superando incomprensioni e attacchi (anche di chi lo giudicava “pazzo”) promosse i “Colloqui per il Mediterraneo”, portando per la prima volta allo stesso tavolo arabi e israeliani, proponendo di trasformare il Mediterraneo in un “Grande Lago di Tiberiade”, ospitale per tutti i figli di Abramo: ebrei, cristiani, mussulmani.
Muoveva La Pira un profondo amore evangelico per il prossimo, la convinzione, politica ed etica, di costruire ponti contro l’odio, il rifiuto del nazionalismo bellicoso, la ricerca, contro ogni difficoltà, del dialogo tra diversi. Il sindaco di Firenze rilanciava, contro i bagliori di una guerra continua, lo spirito della risoluzione dell’Onu: in Terrasanta due popoli e due Stati. Questa idea, non esclusiva, avrebbe trovato uno sbocco positivo con l’accordo di Oslo del 1993 tra il presidente Usa Clinton, il leader dell’Olp, Arafat, il premier israeliano Rabin. L’intesa, molto contrastata, non resse alla scomparsa dei firmatari (ad Arafat successe alla guida dei palestinesi il debole Abu Mazen, sovrastato dai radicali di Hamas; a Tel Aviv, dopo l’assassinio di Rabin per mano di un giovane estremista ebraico, prevalse l’idea della “Grande Israele” e degli insediamenti dei coloni). Dopo quella storica stretta di mano di Oslo, negli anni seguenti e sino a offi ha ritrovato spazio un clima di odio, con la negazione de facto della politica dei “Due popoli, due Stati”.
Le Grandi Potenze, in un contesto deteriorato, non hanno aiutato: Russia e Cina “tolleranti” con Hamas, gli Stati Uniti favorevoli alla linea di Israele di firmare accordi con alcuni Stati arabi moderati, senza alcun riconoscimento del ruolo storico dei Palestinesi (Abu Mazen, pur debole, non è assimilabile ad Hamas, come l’intero popolo palestinese non può essere assimilato ai terroristi).
Per uscire dall’impasse va rilanciata, sul piano politico, sociale, religioso, l’utopia di Giorgio La Pira: il dialogo in Terrasanta tra ebrei, mussulmani, cristiani, i due Stati decisi nel ’48 dall’Onu. La sola opzione militare non porta da nessuna parte: i sette milioni di israeliani e i sei milioni di palestinesi (compresa Gaza e la Cisgiordania) non possono reggere una guerra eterna; il Sindaco di Firenze proponeva il dialogo anzitutto in nome di una profonda convinzione religiosa di fraternità universale; ma, nell’era nucleare, è la stessa real-politik a dargli ragione.
Nella seconda metà del secolo scorso diversi uomini di governo (da Fanfani ad Andreotti, da Moro a Craxi) hanno cercato di perseguire il modello di pace di La Pira, anche con alcuni risultati. Oggi, nel nuovo clima mondiale di “guerra fredda” tra Russia, Cina, Usa, sembra prevalere l’appiattimento sulle posizioni tradizionali, con una ricerca delle identità che contrasta con l’obiettivo dell’incontro tra popoli diversi.
In questo clima infuocato, infine, va riconosciuto alla piccola comunità cristiana di Terrasanta, di non aver mai rinunciato alla sua missione pacificatrice; anche in queste ore il cardinal Pizzaballa continua ad insistere sulla soluzione dei “due popoli, due Stati”, nonostante le strumentalizzazioni politiche, volte ad etichettarlo.
Sono le stesse critiche rivolte a La Pira da chi vedeva sempre e soltanto soluzioni militari o egemonie economiche. Ma la storia recente sta dimostrando che senza valori e ideali non si va da nessuna parte, anzi si marcia verso il disastro umanitario.