Continuo a ripensare alla strana avventura occorsami e che vi ho raccontato nel numero scorso; quella in cui l’antico amico Giggì mi aveva non solo levato il saluto ma anche accuratamente evitato, come se fossi stato un appestato.

Quella sera, tornato per una breve sosta nel mio alloggio cittadino prima di trasferirmi nella casa in campagna, gettai un’ultima volta lo sguardo sull’appartamento del mio ex vicino. Le tapparelle erano chiuse ermeticamente eccetto una piccola (quella del cucinino o del bagno, non saprei), quasi qualcuno avesse lasciato una feritoia per osservare fuori. Ormai era l’imbrunire, e attesi per vedere se dall’interno qualcuno accendeva la luce, ma niente accadde e allora tirai giù completamente la mia tapparella. Presi le chiavi, staccai il contatore della luce e piano piano ridiscesi le scale per prendere l’auto.

Sulla strada in mezzo ai boschi il buio era già pressoché completo e rallentai per paura degli attraversamenti improvvisi di cinghiali o caprioli. Avevo ancora in mente l’abbigliamento del mio ex-amico che era sfuggito vedendomi. Un soprabito incolore lungo e un cappello, anche se il capo era in realtà coperto da un cappuccio che fuoriusciva dal soprabito, sotto il cappello. Certo che era veramente strano, così come la sua vera identità.

Aperto il cancello, la Penny-cane mi saltò addosso esattamente come ogni volta che rientravo a casa. Cercavo come sempre di mitigare gli assalti afferrandogli il muso da lupide per contenere i morsi di felicità delle sue fauci, che comunque sempre morsi sono! Chiuse le galline, mi accinsi ad accendere il fuoco nel putagè perché il frescolino dell’aria e l’umidità della casa ormai lo richiedevano.

Poi tornai fuori per chiudere le persiane e buttai l’occhio alla buca delle lettere e vidi che dentro c’era qualcosa. Tirai fuori una lettera e me la portai a casa. Sulla busta non vi era scritto nulla: qualcuno l’aveva portata direttamente senza usare il servizio postale. Un trillo dello smartphone mi avvisò di una notifica: era un messaggio da un numero sconosciuto che perentoriamente recitava: “aprila domani mattina”.

Chiusi tutta la casa per bene, tutte le porte a doppia mandata. Qualcuno, da poco distante, mi osservava: non c’era altra spiegazione!

L’indomani mattina aprii la busta lasciata sul tavolo la sera prima. Conteneva uno scritto ricavato da ritagli di giornali, e accostati per dare un senso allo scritto anonimo: “Nella notte tra sabato 28 e domenica 29 ottobre torna l’ora solare. Alle 3 di notte le lancette degli orologi dovranno quindi essere spostate indietro di un’ora.

Dal 29 ottobre, infatti, avremo un’ora di buio in più. Un cambiamento che, confermano gli esperti, avrà effetti per 9 milioni di italiani, pari al 15% della popolazione. Come? Influenzando negativamente l’umore, e non solo.

Nei giorni successivi allo spostamento delle lancette, si registra un numero superiore alla media di infarti, infortuni sul lavoro e incidenti stradali. Alcuni esperti sottolineano che l’ora legale si discosta dai ritmi circadiani del corpo umano in misura maggiore rispetto all’ora solare, mentre per la Società italiana di endocrinologia potrebbe far aumentare il pericolo di conseguenze negative sul metabolismo e il sistema cardiovascolare. Per 1 italiano su 3 la minor esposizione al sole, legata al cambio dell’ora, sarà fonte di stress”.

Chi lo spiegherà al gallo “Giacu” che avrà un’ora di luce in meno fino al prossimo mese di marzo e dovrà controllare i suoi ritmi circadiani e i suoi chicchirichì?