Siamo tornati agli anni Cinquanta nel rapporto governo-sindacati, con uno scontro frontale tra l’Esecutivo e Cgil-Uil sul diritto di sciopero. È il risultato della contrapposizione radicale destra-sinistra che sta coinvolgendo vasti settori della società, aggravato dalle tensioni tra due leader “forti”: il ministro Salvini, che si è permesso di irridere sulle motivazioni dello sciopero generale (previsto dalla Carta costituzionale) e il segretario della Cgil Landini, che ha rifiutato la mediazione dell’Autorità per i trasporti, organismo previsto dalla legge.
Ne emerge un quadro di confusione che danneggia il Paese e mette in discussione la possibilità di affrontare in modo costruttivo le diverse emergenze; siamo lontani dal “clima costituente” auspicato dal cardinal Zuppi, presidente della Cei; siamo di fronte – spiace ripeterlo – a una campagna elettorale permanente che fa “galleggiare” Governo, Parlamento… e 60 milioni di italiani!
Per la Meloni oggi il tema prioritario è il disegno di legge sul premierato elettivo, una riforma istituzionale che – se supererà il referendum – entrerà in vigore tra quattro anni. Altri temi cari alla maggioranza (riforma della giustizia, autonomia regionale speciale) sono stati per ora accantonati; soprattutto è bloccato il dibattito sul quadro economico-sociale, nonostante le preoccupazioni espresse alla Camera dal ministro Giorgetti, che teme una crescita zero. Le trattative con Bruxelles sul Patto di Stabilità sono ferme, per l’opposizione dell’Italia al Mes. Diversi settori restano senza soluzioni: da segnalare in particolare la crisi della Sanità pubblica, accentuata dall’inarrestabile fuga dei medici.
La produzione industriale resta intanto stagnante: l’ex presidente della Fiat Montezemolo ha lanciato l’allarme sul declino dell’automotive italiano. Il tavolo di lavoro con il ministro Urso è inoperoso, mentre Stellantis (Fiat) mette in vendita l’area Maserati di Grugliasco, liquidando il disegno produttivo di Sergio Marchionne e infliggendo un duro colpo alle speranze di rinascita della periferia torinese. Sempre Stellantis ipotizza duemila esuberi tra gli impiegati del Gruppo in Italia (ma la Francia non si tocca, protetta dalla presenza azionaria del Gioverno Macron nel cda di Lione).
Perché Roma non segue l’esempio di Parigi? Il destino dell’auto, soprattutto per i riflessi sull’occupazione, non meriterebbe almeno la medesima attenzione dedicata al ponte sullo Stretto?
L’opposizione, con il Pd della Schlein, ha portato in piazza 50 mila persone contro la linea complessiva del Governo, chiedendo un’attenzione speciale sui temi sociali; erano presenti M5S, Verdi, Sinistra, assenti i centristi sia di Calenda sia di Renzi. Nel sottolineare la riuscita della manifestazione il “Corriere della Sera” e “La Stampa” hanno chiesto ai Dem proposte più concrete, con la disponibilità al confronto con l’Esecutivo, evitando il rischio di una radicalizzazione che sposti più a sinistra il partito, facendo venire meno il suffragio di parti significative di ceto medio (i sondaggi sono sempre “freddi”, anche dopo la manifestazione: 18-19%, sotto le politiche; e il “Corriere”, dopo le Europee, non esclude il passaggio del timone dalla Schlein all’ex ministro Franceschini).
Il dialogo Pd-M5S permane difficile: anche qui per la concorrenza sul voto europeo (nelle intenzioni degli elettori il distacco è minimo, 2-3 punti percentuali appena). Le stesse trattative per le prossime regionali procedono a macchia di leopardo: intesa a Cagliari (tra le polemiche), nulla di fatto a Torino.
Il quadro politico, infine, appare poco propositivo sulle due grandi tragedie in atto in Medio Oriente e in Ucraina: l’Italia (e l’Europa) seguono su Gaza la linea americana, su Kiev c’è un sostegno divenuto molto freddo a Zelensky.
Maggioranza e opposizione, nella diversità dei ruoli, sono chiamate a contribuire alla crescita del Paese, con un confronto costruttivo in Parlamento, anche con la disponibilità a intese su punti specifici.
Le politiche del settembre ’22 hanno stabilito le gerarchie tra i partiti, non hanno cancellato il necessario lavoro legislativo; avremo altrimenti l’uomo (o la donna) “soli al comando”, prima ancora della riforma istituzionale. Sarebbe una sconfitta per tutti.