Tra il 2006 ed il 2007, a seguito di gravi fatti di bullismo e di cyberbullismo, nello Statuto degli studenti si mise in risalto la necessità che ogni giovane debba essere educato ai principi della convivenza civile. L’educazione civica, da quel momento in poi, non è stata più esclusivo appannaggio dell’istituto scolastico, ma ci si propose di condividerla con le famiglie e gli studenti che apprendono e che fanno esperienze anche in contesti educativi non formali.
Da qui la necessità di firmare un Patto, un accordo, che unisse tutti nel lavoro di crescita e soprattutto di assunzione di responsabilità di fronte a comportamenti non idonei da parte degli studenti.
Il “Patto educativo” diventa dunque il segno di una stretta collaborazione tra la scuola e la famiglia che abbraccia chi frequenta la scuola e si rende corresponsabile del comportamento di uno studente. Con questo patto la famiglia è entrata nel tessuto scolastico e ha cominciato a far parte della pianificazione e della realizzazione del progetto educativo per ogni allievo, alla quale è stata rimandata una sorveglianza in merito a quanto figlio o figlia fanno oltre l’orario scolastico, le loro frequentazioni sui social, l’esecuzione dei compiti, il mantenimento del materiale scolastico oltre che a collaborare nel rispetto delle regole e dell’altra persona.
Con questo patto gli studenti a loro volta diventano responsabili della vita scolastica, del rispetto delle persone e cose dell’istituto e si impegnano a mettere in atto comportamenti corretti in ogni situazione. A fronte delle continue pressioni che le istituzioni scolastiche subiscono e della fragilità che molte famiglie attraversano e in cui faticano a definire uno stile educativo equilibrato, la rete a sostegno della crescita dei bambini e dei giovani deve necessariamente accogliere altri contributi per potersi rafforzare: il Patto è uno di questi contributi.
L’associazionismo, il terzo settore, enti vari, riconoscendone il valore vengono inclusi come parte importante dello sviluppo socioeducativo e quindi inseriti in un accordo progettuale (il Patto, appunto) che li vede promotori e sostenitori di buone pratiche nell’educazione civica, nell’attenzione al territorio e alle sue tradizioni, nel volontariato e nel benessere condiviso da tutti.
Il vecchio proverbio africano che dice che “per crescere un bambino c’è bisogno di un villaggio”, non fa altro che dare consistenza ai patti educativi territoriali che si concretizzano in azioni reali, concertate e concentrate a rendere, grazie alla condivisione di valori universali, lo sviluppo della persona armonico con gli altri e con l’ambiente che la circonda, sostenendo un senso di appartenenza e di sicurezza che però è capace di aprirsi al mondo, e soprattutto capace di assumersi la responsabilità delle proprie azioni e di accettarne le eventuali conseguenze.