Gentile dottoressa Terribili,
leggo sempre volentieri i suoi interventi su questo giornale. Le chiedo: mio figlio è dislessico, e noi genitori abbiamo deciso di certificarlo, e quindi di farlo sapere alla scuola e agli insegnanti. Altri genitori, nelle nostre condizioni, hanno preferito invece tacerlo. Devo dire che anche noi eravamo incerti, soprattutto perché ci pare che le maestre e gli insegnanti non siamo troppo preparati alla gestione di questi casi. L’altro giorno, per esempio, la maestra ha dato un compito, dicendo in classe che nostro figlio si poteva astenere dal farne una parte (perché lento nel leggere e lento nello scrivere).

Qualche suo compagno non ha capito la ragione e nella pausa andava dicendo che quella era una ingiustizia. Mio figlio c’è rimasto male. Abbiamo fatto male a dichiararlo dislessico? L’insegnante ha in qualche modo creato una situazione di disagio a lui e ai compagni? C’è preparazione in maestri e insegnanti per affrontare queste problematiche? E come aiutare i bambini dislessici a capire la loro situazione di fronte ad altri? Grazie.
(lettera firmata)

Gentile lettore,
Lei mette l’accento su alcune tematiche specifiche: la trasmissione della certificazione alla scuola, la gestione delle verifiche e la formazione degli insegnanti sulla didattica inclusiva.
Prima cosa: il disturbo di apprendimento attiene alla sfera neurologica e, in maniera specifica, colpisce la trasmissione delle informazioni tra quei neuroni che sono specifici per la lettura, la comprensione del testo, la scrittura e il calcolo.

La scuola è il luogo d’eccellenza dove gli apprendimenti della lettura, scrittura e calcolo non solo prendono forma ma, per uno studente con DSA, devono essere modulati attraverso una gestione della didattica che rispetti la neurodiversità dello studente.

La certificazione è indispensabile alla scuola e all’insegnante per capire come sono “organizzate” le funzioni della mente di quel determinato studente, per offrirgli strumenti compensativi che gli permetteranno di arrivare al migliore apprendimento possibile. Gli strumenti compensativi sono, ad esempio, la calcolatrice, un formulario, un tempo o un numero di esercizi diversi da risolvere.
Da qui la seconda cosa: cioè la gestione delle verifiche.

Se partissimo dal presupposto che ognuno di noi ha uno stile di apprendimento differente e che per imparare a fare qualcosa, può avere bisogno di una modalità diversa dall’altro, dovremmo anche poter comprendere che c’è chi ha bisogno degli occhiali per vedere bene e chi ha bisogno della calcolatrice per fare i conti. Se si spendessero alcuni minuti ad aiutare bambini e ragazzi a comprendere la diversità di ogni persona, si eviterebbero sentimenti di ingiustizia come quelli che nascono quando “sembra” che uno studente sia privilegiato rispetto ad un altro. A volte, invece, si ha timore di parlare con la classe delle difficoltà negli apprendimenti e può capitare che, per questo, la vita di uno studente con DSA sia più complicata del dovuto.

Può anche essere utile aiutare lo studente con DSA a parlare di come funziona il proprio cervello, dello stile cognitivo che meglio lo aiuta ad apprendere e, con questo, aiutare anche gli altri studenti a conoscere meglio se stessi, e dare un apporto sostanziale alla vita della classe. I disturbi dell’apprendimento non sono una vergogna, non sono una malattia, e questo deve essere chiaro sempre a tutti!

In ultimo; malgrado siano passati più di dieci anni dalla legge 170 (che riconosce i diritti allo studio e a poter usare le misure compensative sul luogo di lavoro), molti insegnanti hanno ancora delle difficoltà ad organizzare un ambiente scolastico, una gestione della didattica e delle verifiche che siano inclusive per ogni studente.

Genitori, studenti ed insegnanti possono rivolgersi alla sede regionale o locale dell’Associazione Italiana Dislessia ed essere aiutati a trovare delle soluzioni rispettose per tutti e per promuovere i diritti di una scuola inclusiva.