(Ferdinando Zorzi)
La grandiosa scena descritta da Gesù per la fine dei tempi è allo stesso tempo tremenda e affascinante: il Figlio dell’Uomo seduto sul trono della sua gloria, con tutti gli angeli e, davanti a lui, tutti i popoli radunati; a quel punto, avviene un giudizio netto di separazione delle pecore dalle capre, dei benedetti dai maledetti.
Lo storico delle religioni Rudolf Otto avrebbe coniato l’espressione “totalmente Altro” per descrivere il sacro in termini di mysterium tremendum et fascinans, marcando una lontananza incolmabile tra Dio e la coscienza umana.
Leggendo però oltre nel Vangelo, troviamo che la distanza tra il re e i popoli viene anzitutto ridotta attraverso un dialogo: si prospetta un regno preparato fin dalla creazione del mondo, che può essere ricevuto in eredità da coloro i quali, con le loro opere, lo hanno meritato.
Da questo regno saranno eternamente esclusi quelli che non hanno saputo compiere gli stessi atti di misericordia.
È l’Incarnazione, che fra poco inizieremo a vivere come tempo di Avvento, a cambiare le cose: Dio non è più distante e inavvicinabile, come un monarca assoluto di Ancien Régime lo era per i suoi sudditi, ma si è fatto uomo nella carne; da quel momento ogni persona, anche la più piccola, può compiere (o non compiere) gesti di salvezza per sé e per gli altri, in piena libertà e responsabilità.
Questo è il re che celebriamo e attendiamo, concretamente presente nell’Eucaristia, da amare nel servizio ai fratelli più piccoli. E noi siamo il suo popolo, un popolo regale.