(Doriano Felletti)
Passeggiando per Chivasso, lungo quel tratto di viali dedicati a Giacomo Matteotti, ci si imbatte in Via Giuseppe Basso, una figura di eminente scienziato che merita senza dubbio un approfondimento; il suo ritratto lo si può ammirare nell’ufficio del Sindaco a Palazzo Santa Chiara.
Nacque a Chivasso il 9 novembre 1842 da Antonio e Giuseppa, entrambi sarti. Nel “modesto laboratorio di lui lavorava tutta la povera famiglia” e anche Giuseppe si dedicava al “maneggio dell’ago tutto il tempo a lui concesso dalla scuola”. Dopo gli studi elementari, i sacrifici della sua famiglia gli permisero di proseguire presso il Collegio di Chivasso e poi a Torino. Nel 1857 vinse per concorso un posto presso il Collegio Carlo Alberto di Torino e così si iscrisse alla facoltà di Fisica dell’Università. Quando, dopo due anni, il Collegio chiuse, gli fu assegnato un sostentamento mensile, grazie al quale potè completare gli studi fino al conseguimento della laurea, nel 1862, con una tesi dal titolo “Dissertazione sulla luce polarizzata circolarmente e sulle applicazioni ad alcune questioni di chimica”.
Nello stesso anno ottenne l’incarico di insegnante di Fisica presso la Reale Accademia Militare di Torino e mostrò fin da subito una spiccata attitudine alla didattica: “Nelle sue lezioni cercava anzitutto l’ordine e la chiarezza. Sua cura costante era che gli allievi si convincessero profondamente, senza traccia di dubbio, delle nozioni scientifiche, ch’egli impartiva loro”. Nel 1864, ad appena ventidue anni, vinse il concorso come Dottore aggregato presso la Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali “con uno splendido esame”, presentando la tesi sul lavoro interno prodotto dal calore nei corpi e ciò gli permise di diventare docente presso l’Università degli Studi di Torino, inizialmente come sostituto del Professor Gilberto Govi, docente di Fisica sperimentale titolare fin dal 1860 e frequentemente assente dalla città in quanto componente della Commissione internazionale dei pesi e delle misure di Parigi; poi, a partire dal 1872, divenne anche titolare della cattedra di Fisica matematica, incarico precedentemente ricoperto da Felice Chiò, matematico nativo di Crescentino.
Appena insediato, si dedicò alla revisione del programma del corso, apportando significativi cambiamenti ed ampliandolo notevolmente: “Nel trattare la Fisica Matematica preferiva quelle teorie che hanno più stretta relazione con l’esperienza e le volgeva con ampiezza di vedute e con opportuni raffronti delle opinioni dei vari autori, grazie alla ricca coltura con lo studio costante s’era acquisita”. La passione per l’insegnamento e per la divulgazione scientifica lo portarono, nel 1869, a pubblicare per Paravia il libro di testo Nozioni di Meccanica ad uso specialmente de’ Licei. Nella prefazione spiegava che “i trattati elementari di Fisica, che oggidì si trovano più spesso fra le mani dei giovani, quantunque pregevoli per più d’un riguardo, hanno l’inconveniente di non esporre con sufficiente estensione le prime nozioni di Meccanica”; pertanto “ho creduto di non far cosa inutile, raccogliendo in poche pagine i principii di meccanica” in un modo da “rendere facilmente comprensibili argomenti che non sempre lo sono”.
La sua carriera di fisico sperimentale iniziò a partire dal 1870 con le prime pubblicazioni di carattere scientifico. In una di queste, Determinazione della velocità del suono nell’aria per mezzo di un’eco polifona (1871), descrisse gli esperimenti che lo portarono a misurare la velocità del suono nell’aria attraverso l’eco prodotta da una serie di suoni intervallati fra loro. Condusse gli esperimenti sotto il Ponte Mosca in Corso Giulio Cesare a Torino, costruzione dell’architetto, nativo di Occhieppo Superiore, Carlo Bernardo Mosca: “l’ardito ponte ad un sol arco, che l’Ingegner Mosca costrusse sulla Dora Riparia presso Torino, offre a chi discende sotto al suo volto un fenomeno acustico degno di nota. Se appoggiata ad una delle spalle del ponte e rivolta verso la spalla opposta, una persona emette un suono di breve durata, essa ode questo suono ripetuto per un numero infinito di volte, ad intervalli eguali, e con intensità che va rapidamente diminuendo […].
Evidentemente l’eco polifona di cui parlo è prodotta dalle riflessioni successive del moto vibratorio dell’aria contro due ampie pareti verticali in pietra, le quali trovansi di fronte l’una all’altra, alla distanza di 45 metri, distanza uguale alla corda dell’arco sovrastante. Anche la parete curva formata da quest’arco esercita grande influenza sul fenomeno”. Gli esperimenti furono condotti “nelle ore più tarde, e quindi più silenziose, della notte” in diverse condizioni atmosferiche e termiche e portarono ad un risultato scientificamente apprezzabile anche grazie a “un procedimento nuovo e assai comodo per determinare la velocità del suono”.
Nel 1877 divenne socio nazionale residente dell’Accademia delle Scienze di Torino, nella classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Da quel momento, i suoi interessi in campo sperimentale si rivolsero alla fisica teorica, in particolare a questioni legate all’ottica fisica, un campo di ricerca fino a quel momento piuttosto trascurato in Italia, e vi portò notevoli contributi, tanto che Galileo Ferraris arrivò a commentare : “la serie dei lavori di ottica fisica […] è quella che definisce e assegna a Giuseppe Basso il suo vero posto nella schiera dei nostri lavoratori della scienza: un posto, la cui importanza apparirà evidente a chi pensi al deplorevole abbandono nel quale qui, come altrove, nelle scuole come nei laboratori, è presentemente lasciato il bellissimo ramo della fisica che il Basso prediligeva”. Si occupò in particolare di riflessione, diffrazione, polarizzazione della luce e dei fenomeni legati all’elettrolisi. Furono circa cinquanta gli scritti scientifici lasciati dal Basso, alcuni pubblicati sulle Memorie della Reale Accademia delle scienze di Torino altri su Il nuovo Cimento. Dell’Accademia fu anche per ben due volte segretario, nel 1888 e nel 1892.
Nel frattempo, la carriera di insegnante procedeva incessantemente; mantenne l’incarico di supplente del Professor Govi sulla cattedra di Fisica Sperimentale fino all’anno accademico 1877/78; nel 1876 fu richiamato in servizio presso la Regia Accademia Militare. Nel 1879 fu promosso a professore aggiunto di Fisica sperimentale e nel 1881 ottenne la titolarità della cattedra. Nel 1882 divenne professore ordinario di Fisica Matematica e non smise mai di trascurare l’insegnamento privato.
Nel 1891 fu eletto membro della Società degli spettroscopisti Italiani e nel 1893 divenne socio della Reale Accademia di Agricoltura di Torino; fu inoltre rappresentante per il Comune di Chivasso del Comizio Agrario, istituito con Regio Decreto 3452 del 23 dicembre 1866 con lo scopo di sostenere l’agricoltura e diffondere le tecniche e le innovazioni in campo agricolo.
Giuseppe Basso morì a Torino il 28 luglio 1895 nella sua abitazione di via Alfieri 14. Fu un uomo di scienza dalle straordinarie capacità divulgative e sperimentali, “fisico sperimentale di formazione e fisico matematico per inclinazione, piuttosto che matematico per formazione e per inclinazione” e contribuì in modo significativo ad incrementare il patrimonio scientifico italiano all’alba del ventesimo secolo. Le attestazioni di stima provennero dai suoi studenti, come Giuseppe Peano che lo ebbe come docente di Fisica nell’anno accademico 1877-1878 e di Fisica matematica nell’anno accademico 1879-1880, e come Giovanni Guglielmo, che ebbe Basso come docente in tutti gli anni dei suoi studi e che, dopo la laurea in Fisica conseguita nel 1878, per trentasette anni ricoprì la cattedra di Fisica sperimentale e fu direttore del Gabinetto di Fisica a Cagliari.
Il collega e amico Andrea Naccari dopo la sua morte scrisse “la bontà del suo carattere, la modestia, la semplicità e l’affabilità dei suoi modi fecero caro il Basso non solamente ai colleghi e agli allievi, ma a chiunque lo conosceva”. E Galileo Ferraris che fu anch’egli amico e collega di Basso, nel discorso di commemorazione che tenne alla sua morte per i soci dell’Accademia delle Scienze di Torino, ricordava “con quale cura onesta ed amorevole egli si adoperasse a rendere chiara ed accessibile a tutti la sua esposizione; con quale arte egli riuscisse ad accoppiare alla chiarezza la castigatezza, e talora anche l’eleganza del discorso; con quale zelo assiduo e scrupoloso egli adempisse il suo ministero”.