Venne un uomo”: con queste esatte parole ha inizio il Vangelo di questa domenica Gaudete.

Una domenica per me speciale per diversi motivi: il primo, l’approssimarsi del Natale, in cui la Chiesa, in modo del tutto particolare oggi, è chiamata a “rallegrarsi”, appunto, per la venuta di Gesù, del Salvatore che si fa carne nella storia, e per un mistero imperscrutabile – quello della Pentecoste – viene a porre la sua casa, e quindi la sua presenza, dentro di noi, esattamente nel profondo dei nostri cuori.

Il secondo, decisamente più personale, è proprio la gioia di poter a breve incontrare di nuovo amici e parenti in un clima di festa e di gratitudine per il dono di Gesù al mondo.

Ultima ragione, non per squalificarla, ma proprio per porla a fondamento… in un tempo così a me caro, sin dalla più tenera età, è il nuovo passo che il mio per[corso vocazionale mi chiama a fare in vista del sacerdozio, ovvero il conferimento del ministero dell’accolitato.

L’accolito, parola difficile che deriva dal verbo greco, ἀκολουθέω, è propriamente “colui che segue”, che si mette in sequela, ovvero che pone la sua vita in riferimento a qualcos’altro… a Qualcun altro.

Ciò non significa che non fosse così già prima per me, ma al termine del percorso di studi teologico, la Chiesa invita i candidati all’Ordine Sacro a meditare nuovamente le ragioni profonde della loro vocazione a – come affermato da San Paolo nella seconda lettura – “non spegnere lo Spirito” (1Ts5,16) ma anzi – come canteremo a breve nella bella novena di Natale – a “ravvivare l’attesa”.

Potremmo allora dire, che ben si sposa, questo ministero con il clima di avvento che ancora per questi nove giorni la Chiesa ci chiama a vivere, non solo nella sequela – insieme con i magi – della stella che ci porterà ai piedi del Salvatore, ma anche per il significato che la mangiatoia, in cui egli riposa, assume in sé.

Come il ministero del lettorato, liturgicamente, è posto in riferimento all’ambone, quello dell’accolitato è posto in riferimento all’altare e, più nello specifico, a ciò che su di esso è celebrato, ovvero il mistero eucaristico della presenza in corpo, anima, sangue e divinità del divin Redentore, esattamente come quel lontano “primo Natale” di più di 2000 anni fa.

È curioso notare, come già sottolineato da San Girolamo, quanto Dio, nella sua provvidenza, in un gesto dolente, come quello di Maria, che non ebbe a disposizione nessun luogo per accogliere il Figlio di Dio, se non una semplice mangiatoia con del pagliericcio, abbia già voluto prefigurare il suo destino, ovvero quello di essere mangiato da noi nell’eucarestia.

La mangiatoia è l’altare, il pagliericcio è il corporale, l’ostia è quel Bambino nato per noi.

Allora per me questo ministero è veramente come un andare a Betlemme, come un ritornare alle origini, lì dove tutto ebbe inizio, lì dove ebbe inizio la mia vocazione.

Un richiamo ad aprire gli occhi, come i discepoli di Emmaus, di fronte a quel “pane spezzato” posto in quella mangiatoia, affinché se ne possa cibare ogni uomo.

In questo mio “andare a Betlemme”, nel miglior stile apostolico, ovvero a “due a due”, posso ringraziare la comunità dell’Almo Collegio Capranica in Roma di avermi donato come compagno di strada oltre che di studi, il caro amico Tommaso Congiu, della diocesi di Cagliari, con cui riceverò questo ministero.

Il sogno e il desiderio che mi permetto di affidare oltre che nella preghiera personale, anche in questo breve pensiero, è che da questo ritorno alle origini possa scaturire da me, come anche da ognuno, una testimonianza più vera e coerente, che sappia infiammare il cuore di chi ci sta intorno, perché sempre più persone possano trovare in Gesù quella felicità vera, che riempie il cuore di ogni vivente, e, plasmati da essa, ci possa essere qualcun altro che decida di spendere la vita per il Vangelo e per il Signore.

Dio solo sa quanto la nostra bella terra canavesana ne abbia bisogno!

Alessandro Masseroni, Seminarista

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Redazione Web