Questi mesi successivi all’ordinazione diaconale hanno sicuramente segnato un cambio di passo nella mia vita, soprattutto rispetto allo sguardo sull’impegno nella Chiesa che vedo arricchirsi continuamente di prospettive nuove e sorprendenti.

Il minor tempo da dedicare alla formazione mi permette ora di dare profondità e senso agli anni di studio passati.

Mi sto rendendo conto di come il dedicare il proprio tempo agli altri possa davvero essere percepito in modi totalmente opposti se non provassi a vedere in ogni persona che ho davanti il volto di Gesù che mi interpella.

In più, la consapevolezza che tutto ciò che penso di avere da dare in realtà “di mio” ha ben poco, riesce spesso – anche se non senza fatica – a restituirmi in ogni incontro, anche banale o frettoloso, qualcosa di bello e inatteso.

È un po’ come se il “perdere tempo per gli altri si rivelasse in realtà un dare a quel tempo un senso più pieno, che restituisce pace e gioia.

Sono anche grato alla Chiesa che, con intelligenza, permette un cammino di preparazione graduale, di cui il diaconato fa parte e che mi sta facendo assaporare la liturgia più vicino all’altare, dove con stupore sto vivendo la bellezza della cura dei suoi gesti, parole e simboli.

Devo confessare che questa nuova posizione mi sta facendo apprezzare come la liturgia sia una delicata educatrice di umanità piena e vera: nei suoi continui rimandi alla nostra situazione eterna e definitiva sto intuendo qualcosa di come Dio ha pensato l’essere umano in tutta la sua bellezza.

Devo poi ringraziare il nostro Vescovo Edoardo, la nostra chiesa locale e tutta la Fraternità di Nazareth che continua e so continuerà ad accompagnarmi e sostenermi in questo cammino, sopportando e supportando le mie frequenti inadeguatezze come motivo di maggior affetto anziché di giudizio.

Matteo Bessone, diacono

Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunciatore: credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni”. Questi primi mesi di Ministero Ordinato come Diacono sono stati scanditi e definiti dalle parole che il Vescovo ha detto a don Matteo e me il primo luglio 2023.

Una volta vestita stola e dalmatica (non senza qualche difficoltà, data dall’emozione nostra e dei fratelli diaconi che ci hanno rivestito dei paramenti) ci siamo inginocchiati davanti a mons. Edoardo che ha posto nelle nostre mani l’Evangeliario, accompagnando il gesto con le parole succitate. Siamo così diventati “annunciatori del Vangelo”.

La sera stessa del giorno della mia ordinazione, nella prima celebrazione in cui ho esercitato il ministero diaconale, non nascondo di essermi lasciato scappare un largo sorriso nel chiedere al Preposito (che conosco da 30 anni e a cui mi lega una grande amicizia): “Benedicimi, padre”.

Il diacono infatti proclama il Vangelo dopo la benedizione e il mandato del sacerdote.

Uno degli aspetti che ho più curato in questi mesi è stato proprio comprendere come il mio ministero sia a servizio dell’Ordine sacerdotale: oltre che dal punto di vista meramente giuridico e sacramentale, sentirsi servi e figli è una grande scuola di preghiera, di maturazione e di vita.

Prima di esercitare pubblicamente il ministero del servizio (della diaconia, appunto) è necessario farsi servire.

Già a partire dalla sagrestia si attua in maniera molto semplice e concreta questo aspetto; spesso le dalmatiche hanno dei laccetti che le tengono chiuse sui lati e questi laccetti non possono essere annodati da chi indossa il paramento: è necessaria che un’altra persona aiuti il diacono a vestirsi.

Amo particolarmente proclamare il Vangelo cantandolo: anche la persona più digiuna di liturgia può capire che quello che sta ascoltando non è una parola “come le altre” perché il canto le conferisce una particolare importanza, ma in essa risuona, realmente, la Sapienza del Signore .

Inoltre la Bellezza è sempre legata alla Verità di quella parola che, a partire dal significato del suo nome, è primo veicolo del Bene (Vangelo = Buona notizia).

A partire dalla liturgia, “fonte e culmine della vita cristiana” (cfr. Lumen Gentium 11), noi diaconi siamo chiamati ad esprimere nella vita la fede in ciò che proclamiamo.

Sempre partendo dalla formula di consegna del Vangelo si può notare che solo un verbo viene utilizzato due volte: insegnare. Attualmente sono docente di informatica presso l’IIS Olivetti di Ivrea e realmente il Signore sta portando a compimento l’opera che ha iniziato in me, che vengo dalla formazione tecnica, prima che teologica.

Mi è chiesto di portare il mio ministero e la mia testimonianza di fede nella scuola.

È realmente una bella sfida essere testimone di Cristo fuori dal recinto sicuro delle strutture ecclesiali, insegnando una materia che di per sé non è immediatamente riconducibile alla Fede.

In questi mesi, l’annuncio si è incarnato nella mia professionalità, nel saper strappare un sorriso a qualche collega un po’ demotivato, nell’essere operatore di riconciliazione nelle tensioni che, come è naturale, si creano negli ambienti scolastici, nel dare alla realtà una chiave di lettura profonda (necessaria sia nella programmazione che nell’educazione civica).

È realmente un dono del Signore poter essere in prima linea di quella “Chiesa in uscita” tanto cara al Romano Pontefice. Forse a scuola non posso usare tanti termini teologici, ma già S. Francesco diceva: “Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario, anche con le parole!”.

Alessandro Codeluppi, diacono

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Redazione Web