In un’estate così calda come quella che siamo vivendo pare proprio che i verbi d’attualità siano camminare, pellegrinare, marciare, andare…
Pellegrina è la nostra diocesi che sabato sale ad Oropa.
In cammino è don Roberto Farinella che si prepara all’episcopato e a guidare la diocesi di Biella.
In marcia siamo noi verso qualche giorno di vacanza e lo è l’umanità intera tra l’alternarsi dei giorni bui o gioiosi della vita; lo è chi scappa dalle guerre e dalla fame e lo è chi scappa dal caldo e dalla piatta consuetudine.
Le azioni degli esseri umani non sono mai avulse dai loro bisogni. Viaggiare, spostarsi da un luogo ad un altro, visitare, conoscere, fanno intrinsecamente parte dei bisogni di ogni uomo.
Come accade dall’inizio dei tempi con i primi popoli nomadi – che con il loro spostarsi alla ricerca di risorse, sono riusciti ad individuare i luoghi dove potevano costituirsi le prime civiltà -, ogni spostamento e ogni viaggio racchiude in se i desideri, le paure e i problemi degli uomini all’interno di ogni epoca.
Gli antropologi ci insegnano come il viaggio sia un elemento centrale nell’evoluzione dell’uomo, che trascende dal solo interesse commerciale o dalle spedizioni militari, per diventare la possibilità di incontro con altre popolazioni: gli uomini si mettono in viaggio con e verso altri uomini.
Il viaggio era lo spazio in cui si poteva apprendere una nuova lingua e dove si comunicava per imparare a fondo gli usi e i costumi dei popoli che si incontravano nel corso dei cammini. Il viaggio era e rimane tuttora, esperienza di cambiamento, quel rito di passaggio tra le fasi di separazione, transizione, incorporazione e quelle di partenza, transito e arrivo. L’esperienza vissuta attraverso il viaggio permette all’individuo e alla società tutta, di evolversi, mutare.
E così, attraverso questi spostamenti si definiscono quelli che sono “luoghi rappresentativi”. Lo studioso Eric J. Leed ci mostra come molte mete dei pellegrinaggi fossero già mete usuali per i popoli nomadi e, nelle stagioni di abbondanza, erano usati per celebrare banchetti comuni tra le diverse tribù
Il pellegrinaggio è dunque banchetto e festa, una celebrazione gioiosa di un incontro che era sempre preceduto da un viaggio a piedi. Il percorso che si trova tra la partenza e l’arrivo acquisisce, con il tempo, il significato del lungo percorso di purificazione necessario per l’avvicinamento con il divino, ma a quella semplicità e a quella povertà (perché il viaggiare a piedi impone una scelta precisa e mirata di cosa portare con sé), si aggiungono elementi di organizzazione materiale del viaggio stesso, elementi di conoscenza culturale (relativamente ai popoli e alle città in cui sostare), mappe, ed eventualmente l’uso di altre persone come guide.
Il viaggio quindi richiede un cambiamento già prima che ci si metta in marcia, la preparazione per il viaggio diventa viaggio stesso, tutto si inscrive in quel cambiamento metaforico che anticipa una nuova identità, una nuova coscienza che presuppone un’accettazione autentica e profonda dei valori collettivi e che vede nella fraternità e nell’allegria della festa il proprio elemento fondante.
Malgrado il raggiungimento di ragguardevoli velocità nei mezzi di trasporto, il viaggio a piedi rimane centrale nell’esperienza del pellegrino, perché solo attraverso il cammino si possono osservare i lenti cambiamenti del proprio vivere, si può sviluppare una concezione nuova del mondo e delle altre persone che si incontrano, perché, solo attraverso il cammino, si può assistere al cambiamento del proprio essere, si può uscire dalla propria quotidianità acquisendo una nuova spiritualità. “Il cammino è la vita” perché il mondo in cui ci si avventura è la fonte a cui si attinge la forza per proseguire il cammino.
I racconti di chi percorre il cammino di Santiago fanno spesso riferimento a come il tempo assuma un senso differente, a come si diventa consapevoli del proprio corpo e dei propri sensi che si acuiscono e che permettono di cogliere elementi del paesaggio che altrimenti sarebbero perduti. Se oggi i pellegrinaggi non sono per tutti legati a quei significati religiosi per cui erano nati, sono comunque legati ad una forte esperienza spirituale di ricerca interiore e di comunione con gli altri. Camminando si perdono quelle strutture sociali sancite dal potere e dalla forza e ci si avvia verso una situazione egualitaria, verso una omogeneità che mette al centro gli elementi comuni e comunitari. Però serve del tempo per riavvicinarsi alla “bellezza e al divino”, per dirla con le parole di San Francesco, occorre il tempo per lasciare i dolori del corpo, le preoccupazioni quotidiane e le paure che affliggono l’esistenza.
Solo dopo questo tempo possiamo entrare in una vera sintonia con noi stessi, con gli altri e con quanto ci circonda e forse la mancanza di tempo è uno degli elementi che affligge la società moderna, che la fa involvere, che la fa rimanere chiusa in se stessa e chiusa all’incontro con l’altro.
E allora, in marcia: Oropa ci aspetta!
Cristina Terribili