(di Doriano Felletti)
“Terribile disastro a Rocca Canavese. Fabbrica di fiammiferi incendiata dallo scoppio d’una miscela”. Questo era il drammatico titolo de La Stampa del 16 marzo 1924. Fra qualche giorno, saranno trascorsi cento anni da quel sabato 15 marzo 1924, quando avvenne la più grave tragedia sul lavoro del territorio canavesano che colpì la fabbrica di fiammiferi di Rocca Canavese.
Nell’autunno del 1923 fu infatti impiantata a Rocca una fabbrica che produceva fiammiferi di forma sferica, destinati principalmente al mercato estero: la Phos Italiana. Era di proprietà della Società Anonima Phos Italiana con sede sociale a Torino in via Giovanni Lanza 81; il direttore, Piciakci, era di origine russa, così come provenivano dall’Unione Sovietica diversi operai rocchesi che erano rientrati in patria a causa della difficile situazione venutasi a creare a seguito della Rivoluzione d’Ottobre. Lo stabilimento fu insediato sulle sponde del Malone, in un mulino poi trasformato in una centrale elettrica.
L’insediamento incontrò il favore della comunità poiché diede lavoro a circa ottanta persone il cui misero stipendio consentì comunque di alleggerire la situazione di diffusa indigenza della popolazione.
Sabato 15 marzo 1924, alle ore 17.10, quasi al termine del turno di lavoro, una violentissima esplosione colpì l’edificio e ne fece crollare la parte centrale, proprio dove, al primo piano, si provvedeva all’impacchettamento dei fiammiferi. Oltre al crollo, divampò un incendio che trovò facile innesco in circa dieci milioni di fiammiferi già confezionati e sistemati nel magazzino al piano terreno, pronti per la spedizione. La catena dei soccorsi si allertò con tempestività: il segretario comunale, dopo aver acquisito sommarie informazioni, avvisò l’ufficio telegrafico di Corio che informò la Pretura di Ciriè e, infine, la Prefettura di Torino che a sua volta allertò il Corpo dei Civici pompieri torinesi. Alle 17.30, dalla Caserma delle due Fontane di Corso Regina Margherita 126 partirono alla volta di Rocca due autopompe con dodici pompieri a bordo. Le attività di spegnimento dell’incendio, di soccorso ai feriti e di recupero delle vittime furono coordinate dal Comandante Giulio Viterbi. Alla volta di Rocca partì anche un’autoambulanza della Croce Verde con a bordo il materiale sanitario necessario per il primo soccorso.
Giunta la notizia in redazione, La Stampa decise di inviare sul luogo della tragedia il cronista Ercole Moggi che con grande maestria descrisse i momenti successivi all’immane tragedia: “verso le ore 18 di ieri giungeva a Torino alle nostre autorità una breve ma affannosa comunicazione telefonica da Ciriè: avvertiva che a Rocca Canavese […] era scoppiato un grave incendio in una fabbrica di fiammiferi”. Giunto sul posto, accertò che “un’ala dell’edificio, adibita alla lavorazione e alla preparazione, era come sparita in mezzo a una densa nuvola di fumo, di polverone, fra un crepitare di fiamme. […] Lo scoppio aveva arrecato uno spostamento d’aria che aveva infranto tutti i vetri delle case circostanti e aveva fatto impeto sulle imposte, sulle porte come in un terremoto. È da immaginare il panico. Dopo questo infernale fragore quelli che storditi non avevano potuto muoversi o quelli che s’avvicinarono all’edificio notarono che l’incendio divampava spaventoso e terribile”.
In attesa delle autopompe, alcuni cittadini trassero in salvo dodici feriti, subito soccorsi dal medico condotto e dal farmacista del paese. Altri cercarono di domare le fiamme con secchi d’acqua, con gli estintori e con una pompa a mano, ma in breve tempo l’incendio divenne incontrollabile e impedì ogni altro tentativo di estinzione e di salvataggio di vite umane. Alle 19 giunsero i pompieri che, grazie alle lance alimentate dall’acqua dal torrente Malone che scorreva lambendo i muri dell’edificio, riuscirono a domare le fiamme e a evitare che le stesse si diffondessero al deposito delle sostanze chimiche utilizzate nelle lavorazioni.
Spento l’incendio, iniziarono le operazioni di recupero dei corpi: “questo lavoro delicato e difficile si iniziò appena il Comandante dei pompieri di Torino ritenne scomparso ogni pericolo di incendio ed ogni eventualità di un nuovo scoppio essendosi provvisto a inondare d’acqua il deposito di clorato. Il lavoro adunque cominciò febbrile verso le ore 23 di sabato e dopo circa un’ora si rinvennero le prime vittime. Si gareggiò da quel momento in lena per togliere travi e mattoni dal groviglio di quei poveri corpi. […] Più tardi le povere salme furono trasportate in una chiesetta del paese, chiusa al culto […] e a questa Morgue improvvisata fu subito un accorrere di parenti e di conoscenti delle vittime” (La Stampa, 17 marzo 1924).
Le operazioni di recupero andarono avanti fino al 17 marzo. Le vittime accertate furono 21; la più giovane, Giovanna Data, aveva 12 anni.
I funerali furono celebrati il 18 marzo: “di buon’ora migliaia di persone hanno affluito a Rocca da tutti i paesi del Canavesano. Tutta la regione ha partecipato al lutto di questa piccola terra; unanime e profondo è stato il cordoglio” (La Stampa, 19 marzo 1924). La camera ardente fu allestita nella Chiesa di Santa Croce; la funzione funebre si svolse nella Chiesa Parrocchiale. Al termine della funzione religiosa un mesto corteo accompagnò le salme al cimitero.
Le indagini fecero emergere una serie di responsabilità a carico della proprietà, inosservante delle misure minime di sicurezza previste dalle leggi vigenti: l’inadeguatezza dell’edificio, l’utilizzo del fosforo bianco, nonostante ne fosse stata accertata la nocività e vietato l’utilizzo, il ricorso a manodopera femminile sottopagata e in deroga all’età minima di accesso al lavoro.
L’iter giudiziario si concluse con l’assoluzione di tutti gli imputati; il Sindacato Subalpino di Assicurazione Mutua versò un indennizzo pari a 5 annualità di salario (poco più di 7.000 lire), a cui si aggiunsero 52.249 lire derivanti da una sottoscrizione. Rimborsi iniqui ed irrisori in cambio di 21 giovani vite a cui Rocca ha intitolato una via.