(di Piero Pagliano)

C’è un nuovo scrittore, in Canavese: un giovane che – con invidiabile nonchalance – si è messo a raccontare una storia come tante, facendo leva sui temi più tipici del “romanzo di formazione”, ma in modo disinvolto, a tratti scanzonato, con quel piglio sicuro che tiene subito avvinto chi apre il suo libro, fin dalle prime righe: “Anche oggi ero in ritardo, nemmeno a farlo apposta. Mi ero perso in uno dei miei testi, bello, flippato, profondo, sentimentale, da rincoglioniti insomma. Era da tanto che non scrivevo, ma oggi, sarà stata quel po’ di foschia o le canzoni che trasmettevano alla radio, mi sentivo ispirato”…

Si chiama Roberto Paglia, è nato dalle parti di Castellamonte, ha quattro figli, tanti cavalli, e finora si è guadagnato la vita occupandosi di programmazione di macchine utensili per una ditta meccanica in cui lavora da anni. Per imparare a scrivere non ha frequentato la Scuola Holden, ma ha trovato lo stesso il suo stile in una prosa spigliata, e la materia prima dei “personaggi” nei suoi ricordi di adolescente e in un mondo di provincia ormai globalizzato dalle serie televisive, dai “miti” dei media, riconoscibile da uno slang giovanilista che ne circoscrive l’identità. Ma sono tutti personaggi “veri”, sbozzati e portati in scena con poche battute di dialogo, con le loro vite che si incrociano e si raccontano, come nei romanzi importanti.

Chi tiene il filo principale si chiama Gioele, ma che diventa subito Gio (e un po’ si può pensare che sia una “controfigura” dell’autore, visto che le date di nascita coincidono), con i suoi tre amici ventenni, Seba, Frà e Mac, che nella prima parte di questa storia sono tutti e quattro camerieri di servizio catering, e tutti tipi “uno più matto dell’altro”, come dice l’amica Giorgia… Già, perché poi ci sono, naturalmente, e non solo di contorno, diverse “paperelle”, “spice girls”, fanciulle svezzate e simpatiche, anche loro con tutte le loro storie di relazioni, aspettative, problemi sentimentali irrisolti, fragilità e insicurezze, insomma Anything else (Come tutto il resto!…), come si diceva in quel film di Woody Allen.

Per il protagonista del racconto, più che le vacanze romagnole sono stati fondamentali i “campi animatori” dei Salesiani a Gressoney, dove Gioele ha lasciato il cuore per quella Alice che non rivedrà più, ma con cui alimenterà quell’amore lontano con ricordi e parole: “Quante lettere ci siamo spediti. Eravamo innamorati di quello che ci scrivevamo. Eravamo incantati dalla poesia che riuscivamo a mettere in ogni verso”…

Ma il capitolo più importante di questo “romanzo di formazione” è quello in cui Gioele, come per mettersi alla prova e per dare un senso più autentico alla propria vita, decide di seguire l’amico missionario in un villaggio dell’Africa nera per dedicarsi anche lui al volontariato: una sorta di “catarsi” che avviene nella presa di coscienza di un mondo in preda ancora a terrificanti barbarie. Quando riemergerà da questa prova scioccante per tornare al suo mondo di prima, vedrà ridimensionati anche i suoi problemi “esistenziali”.

Non si dice che questo racconto sia “L’educazione sentimentale” del nuovo millennio (per citare quell’inimitabile capolavoro di Flaubert), ma, alla fine, questa storia che freme di vita vissuta, di progetti e di buoni sentimenti, in cui tutto pulsa con un ritmo che certo deve qualcosa al musical “oratoriano” che l’autore adolescente aveva in mente di scrivere, forse può ricordare quel fulmineo incipit con cui Paul Nizan aveva cominciato il suo primo libro, “Aden Arabia”: “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita… È duro imparare la propria parte nel mondo”.

Roberto Paglia
“Oggi c’è il Sole… per me”, Albatros
pagg. 244, 14,90 euro

 

CASTELLAMONTE – E certo anche per aver saputo mettere in gioco lo “spirito del tempo” che “Oggi c’è il Sole… per me” è piaciuto al pubblico più giovane ed è stato segnalato e premiato in diversi concorsi letterari (menzione d’onore al Concorso internazionale di Porto Venere, finalista al Deruta Book Fest, finalista al Concorso letterario dell’Argentario, Premio letterario internazionale Città di Sarzana…). Successi che bisogna dire meritati, per cui è venuto naturale chiedere all’autore come sia arrivato a questo suo felice esordio nel campo del romanzo.

“Questo testo – spiega lo scrittore – nasce da un’idea che ho condiviso per anni con un mio caro amico, quella di scrivere un musical ‘oratoriano’, un ambiente che ho frequentato sin da piccolo – come non ricordare le domeniche passate all’Oratorio? A 17 anni, adolescenti appassionati di parole e musica, si sognava di cimentarci in un’avventura che ci avrebbe portato a esibirci nei teatri d’Italia … Poi la vita ha preso un’altra direzione, e quel musical, che doveva intitolarsi ‘Oggi c’è il Sole’, è rimasto un sogno nel cassetto. Un sogno che però mi ha accompagnato per anni, fino a quando, nel 2020, in pieno lockdown, non ho tirato nuovamente fuori i miei scritti e ci ho costruito una storia intorno che è diventata questo romanzo”.

Ora, visto che la voglia di scrivere è naturale venga dal contagio della lettura, quali sono stati i libri che hanno preparato il terreno? “Mi sono innamorato della lettura da piccolo – ricorda Roberto – quando, a 12 anni, ho letto ‘I ragazzi della via Pal’ di Ferenc Molnár. Da lì è stato un susseguirsi di avventure, come ‘Ventimila leghe sotto i mari’, ‘Il giovane Holden’, ‘Il giorno in più’ di Fabio Volo, ‘Il mio nome è Asher Lev’ di Chaim Potok, ‘Il treno dell’ultima notte’ di Dacia Maraini, e via di seguito…”.

Ma poi, con un simpatico gesto di riconoscenza, lo scrittore non dimentica nemmeno la parte che ha avuto la scuola in cui si è diplomato: “Nonostante i miei studi prettamente tecnici, all’Itis di Rivarolo, sono sempre andato bene in italiano e per mia fortuna ho trovato una prof eccezionale, Wilma Fantino, che mi ha fatto innamorare di questa materia. Tanto che dopo le superiori fui perfino tentato di iscrivermi alla Facoltà di Lettere, ma ho abbandonato l’idea dopo l’anno di servizio militare, pensando a un lavoro che mi rendesse più indipendente”.

E così, alla fine, quello che doveva diventare un musical si è modulato in una saga adolescenziale, che include tutte le tipiche esperienze di quella che resta sempre, nel ricordo, la “stagione” più bella della vita.