Intorno alle 2.00 di sabato notte, un violento temporale si è abbattuto sulla città di Ivrea. Come in altre notti, ormai gli eventi atmosferici ci deliziano con suoni e rumori della natura possente, che ci risveglia bruscamente per ricordarci quello che siamo: formiche in balìa degli eventi della natura.

Nel “Dialogo della natura con un islandese”, è espressa questa concezione del pessimismo leopardiano; la natura deve seguire il suo corso e di certo non si placherà a causa dell’infelicità o felicità dell’uomo, che nel mondo è un essere qualunque destinato a subire e perire sotto i colpi della natura. Più o meno leopardianamente ci risvegliamo con uno stato d’animo simile: il modem… la televisione…devo correre a staccare tutto prima che sia troppo tardi. L’implacabile legge di Murphy con il pessimismo di Leopardi in quel momento ci colpisce: mentre siamo nell’angolo più incasinato di casa nostra, un secondo bagliore del fulmine illumina anche la polvere sulla credenza, seguito da un secondo potente ruggito del tuono come se in giardino i tedeschi avessero installato la grande Bertha per bombardare Parigi. Quando siamo stati appena storditi da questa esplosione di luce e di rumore, viene a mancare la luce elettrica. Nel buio udiamo distintamente le cataratte del Nilo che ci piombano con violenza sulla casa. Annaspiamo, cercando di ricostruire la topografia della stanza. Con la mano protesa verso la presa telefonica del modem, inutilmente.

In un istante ci passano davanti agli occhi (bui) una serie di oggetti utili di cui non ricordavamo neppure l’esistenza: i fiammiferi… (una volta, quando erano vicino al gas, anni ’80 circa…) la torcia, che bisogna sempre avere in casa (già, mi ricordo ora che devo sempre comprare le pile che si sono scaricate nell’estate 2014) ecco si! C’è una candela antizanzare nel cassetto del mobile, proprio davanti a me! Gesticolo nel buio così sgraziatamente che mi consolo pensando che tanto al buio non mi vedo. Trovo la maniglia del cassetto che sembra diversa da come la vedo di giorno, le dita si muovono convulsamente, ecco! Trovata! Sono a posto. Non è vero, non ho i fiammiferi… l’accendigas. Mentre annaspo verso la cucina mi scontro con la porta socchiusa, c’è qualcosa per terra che prima non c’era, mi ostacola; dove sono? Mi sono perso in casa mia con una candela spenta in mano. Quando penso di passare il resto della notte in quella tragica posizione… urka, sono sfilati solo 4 minuti. Un terzo tuono e un altro fulmine si scatenano attraverso le tapparelle socchiuse. Un miracolo. Torna la luce e mi trovo in realtà in bagno con una saponetta in mano.

Ma qui succede l’apoteosi dell’onnipotenza: le campane della chiesa del Sacro Cuore di via Torino iniziano a suonare a distesa, come per la Messa grande della domenica, forse di più, come a Pasqua! Una grande sinfonia di campane a festa, bellissimo. Sono le 2 e 04, fantastico. La luce pubblica non torna nella strada, ma ormai modem e tv sono in salvo. Alle 2 e 15 le campane ci danno dentro alla grande: evidentemente il fulmine ha creato una sovratensione che avrà fatto partire qualche congegno. Alle 2 e 20 il miracolo inizia a diventare inquietante: quando abitavo in campagna gli anziani raccontavano che in guerra, o con qualche tragico incendio, le campane suonavano a martello per avvisare e chiedere aiuto ai borghi vicini. Alle 2 e 30 la sinfonia procede tranquilla. Le luci negli appartamenti del quartiere si accendono sempre più. Quanto duravano le campane a festa a Pasqua? E’ la domanda che mi martella.

Alle 2 e 42 le campane tacciono. Il concerto pasquale è durato quaranta minuti. Il quartiere teme che si possa ripetere. Magari il concerto delle campane di Natale, al prossimo temporale che potrà anche essere tra le 3 e 47 e le 4 e 17 nella notte tra un martedì e un mercoledì qualunque. Perché no?

di Fabrizio Dassano