(Doriano Felletti)
“Il problema dei passaggi a livello deve essere risolto al più presto”. Così La Stampa del 4 gennaio 1958 sintetizzava le parole del Ministro dei Trasporti Armando Angelini dopo il grave incidente ferroviario di Rivarolo Canavese, avvenuto lungo la linea Canavesana a causa di un passaggio a livello lasciato incautamente aperto e che costò la vita a quattro Vigili del fuoco volontari.
L’incidente avvenne il 2 gennaio 1958.
A quei tempi, la maggior parte dei passaggi a livello custoditi erano dotati di cancelli in ferro dipinti di bianco e di rosso, perpendicolari rispetto all’asse stradale, la cui chiusura, da effettuarsi nel momento in cui era emanato l’avviso acustico che anticipava l’arrivo del treno, era affidata ad un casellante.
Quella tratta non era nuova a gravi incidenti: il 5 giugno 1956 l’automotrice travolse ed uccise, al passaggio a livello di Pasquaro, il capostazione che stava tornando in motocicletta da Pont dove si era recato a sostituire un collega assente. Il casellante, pensando che il treno fosse ancora lontano, accostò ma non chiuse del tutto i cancelli: il capotreno attraversò i binari e fu investito in pieno dal convoglio diretto a Torino. Ma l’incidente che avvenne intorno alle 20.35 di giovedì 2 gennaio 1958 ebbe un bilancio ancora più grave: costò la vita a quattro persone.
Era arrivata, poco prima, una chiamata al distaccamento dei Vigili del fuoco di Rivarolo Canavese in quanto si era sviluppato un incendio nei pressi di Rocca Canavese, in frazione Case Gabaccia; dalla Caserma di Torino erano già partite due autopompe ma, valutata la situazione, venne richiesto anche l’intervento della squadra di Rivarolo. Fu pertanto avvisato il comandante, Giacomo Gindro, vicesindaco ed assessore ai Lavori pubblici, il quale fece suonare la sirena d’allarme posizionata all’ingresso del Municipio e in breve tempo costituì una squadra con altri sette volontari. Da pochissimo tempo il distaccamento disponeva di un nuovo mezzo, un’autopompa OM Leoncino 25/100-B allestita dalla ditta Bergomi di Milano con targa provvisoria VF 3. L’autopompa partì dalla sede del distaccamento, uscendo dal passo carraio di Via Ivrea 62 e si avviò imboccando la strada provinciale 13/3 in direzione di Favria. Alle 20.08 partì dalla stazione di Pont Canavese l’ultima corsa diretta a Torino. A bordo di una littorina FIAT Breda ALn 40.004, insieme al macchinista e al capotreno, trovavano posto circa una trentina di passeggeri. Superata la stazione di Favria, il convoglio viaggiava alla velocità di 55-60 chilometri all’ora.
Il casello n. 2, posto sulla linea in prossimità del passaggio al livello, era privo di casellante titolare, andato in pensione appena due giorni prima; pertanto, fu incaricato delle operazioni di apertura e chiusura il custode di un altro casello.
Sull’autopompa, insieme al comandante, vi erano Domenico Porello, l’autista del mezzo, Antonio Merlo, Renè Sacchi, Ezio Porello, figlio di Domenico, Domenico Milano, Domenico Vecchia e Secondo Furno: erano tutti volontari. Altri due Vigili del fuoco non furono aggregati: al momento dell’allarme erano al lavoro presso il Cotonificio Valle Susa. All’approssimarsi del passaggio a livello, l’autista vide i cancelli aperti, pertanto procedette per attraversare la linea ferrata. Mentre l’autopompa era in prossimità dei binari, arrivò il convoglio ferroviario. La Stampa di venerdì 3 gennaio 1958 descrisse così la scena dell’incidente: “si udì uno schianto pauroso, la rossa macchina venne afferrata, stritolata, divisa in due. La parte posteriore finì, come un proiettile, contro il pilastrino del passaggio a livello. La parte anteriore, cabina di guida e motore, fu trascinata per una cinquantina di metri, poi lanciata in pezzi sulla massicciata sinistra”.
Il bilancio fu tragico: Gindro, Domenico Porello, Merlo e Sacchi persero la vita, gli altri se la cavarono con gravi ferite. Le persone a bordo del treno ne uscirono illese: “per un caso che ha dell’incredibile, nessuno degli occupanti, né il macchinista, né il capotreno, né i passeggeri, riportarono ferite di qualche entità”. Ezio Porello fu testimone dei fatti: “quando il Leoncino giunse al passaggio a livello i cancelli erano aperti. Suo padre, che guidava l’automezzo, procedette così senza rallentare.
Quando stavano per attraversare i binari, il giovane vide alla sua destra una luce vivida. Pensò per un attimo che fossero le luci di Favria: erano invece i fari dell’automotrice che si avvicinava. Quando se ne rese conto, urlò al padre “Frena, frena!”. Domenico Porello cercò forse di bloccare l’autopompa, ma non ne ebbe il tempo”. Ezio, subito dopo l’incidente e prima di essere soccorso, vide il casellante con le mani nei capelli che si allontanava in bicicletta. La Procura della Repubblica di Torino emise un mandato di cattura per quadruplice omicidio colposo, lesioni colpose gravi ed omissione di soccorso: egli si costituì due giorni dopo al Co-mando dei Carabinieri di Rivarolo.
I solenni funerali si celebrarono lunedì 6 gennaio. Dopo l’omaggio presso la camera ardente allestita nella Sala consiliare del Comune, i feretri furono deposti su due autoscale messe a disposizione dal Comando di Torino e accompagnati alla Chiesa parrocchiale di San Giacomo dove ebbe luogo la funzione religiosa. Tantissime le autorità presenti: fra questi, il vicepresidente della Camera dei Deputati Giuseppe Rapelli, il Ministro del Lavoro Giuseppe Romita, il Sindaco di Rivarolo, gli alti comandi dei Vigili del Fuoco, il Prefetto e il Questore di Torino, le rappresentanze istituzionali venute da ogni angolo del Canavese.
Tutti per onorare il sacrificio di quattro Vigili del fuoco volontari la cui memoria è tenuta viva soprattutto grazie a Michele Sforza, Vigile del fuoco in quiescenza, che ha curato un libro (“E dopo il tuono arrivò il buio e poi il silenzio”, Graphot editore), un documentario (“2 gennaio 1958. L’incidente mortale di Rivarolo Canavese di quattro vigili del Fuoco” su Youtube) e il numero 55 dei Quaderni di Storia pompieristica dedicato alla tragedia.