La pericope di questa Domenica è forse il brano di Vangelo che, dal punto di vista vocazionale, mi è più caro. Il discorso che Gesù fa a Nicodemo pare che lo stia rivolgendo direttamente e singolarmente ad ognuno di noi. Esso ci parla della sconfinatezza dell’amore di Dio, un amore così grande che nonostante i nostri limiti non manca il bersaglio e non ha paura di subire il nostro disprezzo.
Quante volte ci siamo messi a ringraziare per le tante opere e le tante grazie, anche piccole, che Dio compie nella nostra vita? Spesso, possiamo ammetterlo, le diamo troppo per scontate, quasi fisiologiche, ma su una e una sola cosa non si può transigere, ovvero che Dio ci ha donato ciò che di più prezioso egli aveva, suo Figlio, il suo primogenito, per salvarci e farci vivere di nuovo in comunione con Lui. Gesù è luce, “luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2,32) canta il vegliardo Simeone alla presentazione di Gesù al Tempio, e poco dopo soggiunge: “affinché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,35).
La presenza di Gesù nelle nostre vite non è mai indifferente, infatti non possiamo dire di averlo conosciuto e di non aver nemmeno subito un poco del suo fascino misterioso. Egli ci obbliga a prendere posizione o sotto la sua luce o nel buio della sua assenza.
Dio non ci chiede nulla di più se non meditare quanto egli ha fatto per noi, ed esattamente per questo ci offre questo compendio della Storia della salvezza, appunto per ripeterci oggi, come agli Israeliti: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore” (Dt 8,2).
Dio non desidera obbligarci, lui ci ama e appunto per questo non ci pone sotto la sua luce, ma ci chiama a “venire alla luce” a nascere di nuovo nella luce perché la nostra vita possa essere piena e gioiosa, infatti dice: “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16).
In questa domenica Laetare, il rosa dei paramenti ci chiama a meditare su quale luce abiti il nostro cuore e su quanto, come il Battista, possiamo riconoscerci come testimoni “per dare testimonianza alla luce” (Gv1,7) consapevoli che non siamo noi la luce delle nostre comunità ecclesiali ma che viene “nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9), il suo nome è Gesù, il Cristo.
Gv 3,14-21
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».