Uno dei capitoli più intriganti della vita di Don Bosco è quello riguardante i suoi rapporti con mons. Luigi Moreno, vescovo di Ivrea. Nato nel 1800 a Mallare nell’alta Val Bormida, figlio di un notaio, Luigi Moreno studiò teologia all’Università di Torino e si laureò in diritto ecclesiastico e civile all’Università di Genova. Ordinato sacerdote, fu scelto quale segretario dal nuovo arcivescovo di Sassari, mons. Carlo Tommaso Arnosio. Alla sua morte ritornò nella diocesi di origine, quella di Alba, e ne diventò pro-vicario generale.
Il re Carlo Alberto, al quale spettava la nomina dei vescovi del regno di Sar-degna, gli propose di scegliere tra la cattedra episcopale di Sassari e quella di Ivrea. Moreno preferì la seconda. Energico, colto e intraprendente, guidò la chiesa eporediese per quarant’anni, dal 1838 al 1878, lo stesso anno in cui morirono Pio IX e Vittorio Emanuele II. Curò la preparazione teologica e culturale in genere dei seminaristi e istituì il Convitto ecclesiastico per la formazione pastorale dei giovani sacerdoti. Percorreva di continuo la diocesi per predicare e amministrare le cresime e compì la visita pastorale di tutte le parrocchie. Si dedicava personalmente all’insegnamento del catechismo e compose un Compendio della dottrina cristiana ad uso della Diocesi.
Oltre a numerose lettere pastorali e circolari al clero (più di duecento), diede alle stampe alcuni opuscoli: Sulla verità dei Vangeli; Sulla divina autorità della Chiesa; Sui fondamenti della religione e caratteri della vera Chiesa e intorno alle eresie de’ protestanti. Fece ampliare il duomo di una campata e innalzò l’attuale facciata neoclassica sul modello del San Giorgio Maggiore a Venezia, opera del Palladio. Marta Margotti così delinea la sua posizione sotto il profilo storico: “La duplice fedeltà di Moreno alla Chiesa e alle istituzioni dello Stato sabaudo, compreso lo Statuto, segnarono profondamente il suo lungo episcopato, punto di riferimento di un cattolicesimo che intendeva conciliare attaccamento alla religione e partecipazione dei fedeli alla vita pubblica” (Storia della Chiesa di Ivrea in epoca contemporanea, p. 66). È significativa al riguardo la linea del quotidiano “L’Armonia della religione colla civiltà”, promosso dal Moreno con il sostegno di Gustavo Benso di Cavour, fratello maggiore di Camillo, dell’abate Antonio Rosmini e del teologo Gaetano Alimonda, poi arcivescovo di Torino.
Nel Concilio Vaticano I il vescovo di Ivrea “si segnalò tra i padri che si dichiararono contrari alla proclamazione del dogma dell’infallibilità pontificia per motivi teologici e per ragioni di opportunità pastorale e politica, ritenendo che tale definizione solenne avrebbe fomentato l’astio verso la Chiesa” (ivi, p. 65).
Mons. Moreno conosce e stima Don Bosco, lo invita a predicare nella sua diocesi e occasionalmente lo ospita nell’episcopio di Ivrea. Li accomuna una duplice preoccupazione: la fede e la pratica religiosa del popolo si affievolisce a causa del crescente influsso dei giornali che attaccano la Chiesa e la fede cattolica, in modo particolare la “Gazzetta del popolo” e “L’Opinione”, ambedue nati nel 1848.
Questi giornali – scrisse Arturo Carlo Jemolo – erano pieni zeppi di “tutte le sciocchezze, le fandonie, le banalità pseudofilosofiche, delle quali per tre quarti di secolo furono abbeverate le popolazioni dell’Europa latina” (Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, pp. 98-101). A ciò si aggiunge il proselitismo dei valdesi, ai quali nel 1848 Carlo Alberto ha riconosciuto, peraltro giustamente, pieni diritti civili. Don Bosco, che ha già pubblicato diverse opere di taglio popolare (Storia ecclesiastica ad uso delle scuole, 1845; Storia sacra, 1847; Il cristiano
guidato alla virtù ed alla civiltà, 1848; L’amico della gioventù, 1849), nel 1850 è sceso in campo con un libello di 23 paginette dal titolo: La Chiesa Cattolica Aposto-lica Romana è la sola e vera Chiesa di Gesù Cristo. Avviso ai cattolici. In seguito a diversi incontri, il vescovo di Ivrea e Don Bosco decidono di dare vita a una pubblicazione periodica: le “Letture cattoliche”.
Arthur Lenti ne ricostruisce l’origine: “Come nacque questa importante collana? Il merito è di mons. Mo-reno, vescovo di Ivrea. Assente l’arcivescovo Fran-soni perché in esilio, mons. Moreno giocò un ruolo predominante nell’assemblea episcopale tenutasi a Villanovetta nei giorni 25-29 luglio 1849. Lì si decise di mettere in campo un nuovo tipo di apologetica ricorrendo alla stampa. In risposta a questa decisione, egli fondò il giornale cattolico «l’Armonia», all’inizio moderatamente liberale, e promosse la pubblicazione di una serie di brevi saggi intitolati Collezione di buoni libri a favore della religione cattolica. Il primo uscì il 1° settembre 1849: si trattava di un libretto in formato ridotto, intitolato Avvertenze di religione ai cattolici d’Italia. Ne seguirono altri, ma si rivelarono troppo difficili per il livello culturale del popolo…” (Don Bosco. Storia e spirito, vol. I, pp. 623s).
Resosi conto di dover cambiare registro, mons. Moreno coinvolge Don Bosco, il cui stile semplice e popolare garantisce il successo dell’impresa. Nel 1853 esce un fascicolo introduttivo dal titolo: “Avvisi ai Cattolici”, edizione riveduta del precedente. Il primo e il secondo numero sono intitolati: “Il cattolico istruito nella sua religione”. Sottotitolo: Trattenimenti di un padre di famiglia co’ suoi figliuoli secondo i bisogni del tempo. I due opuscoli (di pp. 111 e 397) sono opera anch’essi di Don Bosco. Alla fine dell’anno esce “Il Galantuomo”, un simpatico almanacco popolare per il 1854. “Le Letture Cattoliche batterono in breccia la Collezione di buoni libri… Vi riuscirono sia perché erano di livello più popolare sia anche perché Don Bosco personalmente s’impegnò a farle penetrare nelle parrocchie del Piemonte” (Pietro Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, p. 247). Il successo continuerà a lungo, nonostante che la cooperazione tra i due fondatori sia entrata in crisi nel 1862, allorché Don Bosco, che nel frattempo ha avviato un laboratorio tipografico all’Oratorio, vi trasferisce la stampa delle “Letture Cattoliche”.
Mons. Moreno reagisce vivacemente, ritenendosi proprietario della collana. Francis Desramaut osserva: “Les âpres discussions des annés soixante nous convainquent qu’à l’origine les rôles ne furent pas définis avec assez de clarté dans l’administration de la revue” (Don Bosco en son temps, p. 376).
Il contrasto è superato grazie alla mediazione del conte Carlo Cays di Caselette e a una sentenza del Tribunale. Dal 1867 “la collana passò da una proprietà collettiva a quella esclusiva del santo” (A. Lenti, Don Bosco. Storia e spirito, vol. I, p. 626).