Ho frequentato la Scuola dell’infanzia (“sono andato all’Asilo”, secondo il modo di dire di allora) presso le Suore Figlie di Carità dell’Immacolata Concezione, che ai tempi ancora gestivano il “Guala” di Caluso e vi risiedevano. Tuffandomi nel passato, rivedo le ampie aule ricavate nel Palazzo Valperga di Barone, i due cortili, il refettorio, i corridoi e l’enorme (così mi appariva) salone dove si svolgevano le recite di Natale e le feste di fine anno.
Tra i ricordi dei compagni, ora adulti, e delle suore, ora anziane o tornate alla Casa del Padre, si affaccia un’immagine colorata, appesa alla parete della nostra “classe”: un giovane uomo, dai capelli castani fluenti, con una tunica rossa e blu e un bastone, attorniato da tre pecore bianche su un tappeto erboso. L’oggetto era sagomato in un materiale povero, forse una tavola di truciolato o addirittura di polistirolo, ma aveva una sua grazia decorosa.
Erano gli anni in cui le maestre ci insegnavano a pregare e ci parlavano di Gesù e il bambino di allora si convinse che “Dio” dovesse avere le sembianze proprio uguali a quella immagine. Non un anziano con la barba bianca, non una presenza testimoniata da colombe o altri simboli trinitari: Dio doveva essere di certo come quel Buon Pastore.
A distanza di tanto tempo, quella nozione infantile mi sembra ancora un valido punto di partenza per sondare il mistero divino: allora non lo sapevo, ma l’immagine del buon pastore evoca il sacrificio di Gesù, che dà la vita per noi.
Ricorda inoltre che Lui non ci abbandona ai lupi come farebbe un mercenario; che ci conosce intimamente, come il Padre conosce Lui; che noi siamo chiamati a diventare un solo gregge, seguendo i nostri pastori, con tutti quelli che ascoltano la Sua voce.