(Francesco Mosetto)
Espulso dall’Etiopia una seconda volta nel 1942 (la prima espulsione fu nel 1935), al rientro in Italia è ricevuto in udienza dal Papa Pio XII. Quando arriva a Torino, la città ha già subito numerosi bombardamenti. Il Papa lo richiama a Roma e lo manda a Rimini come Ausiliare dell’anziano vescovo Stazzoli.
La città adriatica, che si trova poco oltre la “linea gotica”, è occupata dalle truppe tedesche. Dal novembre del ‘43, quando raggiunge Rimini, al 21 settembre del ‘44, quando la città è liberata, si succedono 400 bombardamenti. L’ottanta per cento degli edifici, compreso il Tempio malatestiano, è gravemente danneggiato o distrutto. Gran parte della popolazione è fuggita nella campagna o sui monti dell’Appennino; molti si sono rifugiati nella vicina San Marino.
Il vescovo ausiliare mette al riparo l’anziano mons. Stazzoli, si prodiga per i parroci e per i seminaristi, soccorre i poveri rimasti in città, porta conforto a tutti. Anche la cattedrale e il vescovado sono colpiti, e Mons. Santa trova riparo a Montefiore presso il santuario della Madonna di Bonora. Muore il vescovo Stazzoli e l’Ausiliare è nominato Amministratore apostolico.
Appena gli è possibile, rientra a Rimini e condivide le ristrettezze dei suoi preti e della sua gente. Accorre da una parrocchia all’altra portando consolazione e coraggio. Nell’ottobre del ‘45 Mons. Santa è nominato vescovo di Rimini. Come non ha avuto peli sulla lingua con le autorità inglesi che avevano assunto il governo provvisorio della città, così è franco con quelle
italiane. In una regione fortemente ideologizzata e sconvolta dalla guerra, ricorda a tutti il dovere della giustizia e dell’onestà. Nell’attività pastorale coinvolge i laici e le aggregazioni laicali: l’Azione Cattolica e le altre associazioni. Spicca in questo quadro la figura di Alberto Marvelli, un giovane sportivo e generoso, cresciuto nella parrocchia salesiana e nell’Azione Cattolica.
Laureato in ingegneria a Bologna, dopo il servizio militare ha lavorato nell’ufficio progettazioni della FIAT a Torino. Ritornato a Rimini dopo l’8 settembre, entra in una organizzazione paramilitare controllata dai tedeschi, che gli dà la possibilità di impedire la deportazione di molte persone. Scoperto e messo in prigione, riesce a fuggire e a liberare i compagni già rinchiusi nei vagoni diretti in Germania. Sotto i bombardamenti continua a soccorrere i feriti, a provvedere il cibo alla gente povera e ad aiutare gli sfollati. Il Comitato di Liberazione gli affida l’ufficio Alloggi e Ricostruzioni. Nei primi anni della Repubblica rinascono i partiti e Alberto s’impegna nell’azione politica. Mentre di sera va in bicicletta per tenere un comizio elettorale, è travolto da un autocarro: è il 5 ottobre 1946.
Nel 2003 Giovanni Paolo II dichiara beato questo «giovane forte e libero», che «ha concepito la sua breve vita come un dono a Gesù per il bene dei fratelli».
Con i suoi preti Mons. Santa è esigente; ma essi riconoscono in lui un vero padre, che comprende e aiuta. Con i capi del partito egemone della Romagna non scende a compromessi, ma continua a considerarli pecore del suo gregge. Personalmente povero, vive in un semplice appartamento del Seminario, dove riceve ogni genere di persone, in modo particolare i poveri. Ascolta tutti e dona con generosità quanto gli è stato dato per la beneficenza.
Visita di continuo le singole parrocchie e guida la diocesi con l’aiuto del Consiglio pastorale. Oltre alla cattedrale, ricostruisce chiese e case parrocchiali. Non ha dimenticato le missioni. Aiuta una congregazione diocesana, le Maestre pie dell’Addolorata, ad aprire un’opera in America latina. Come scrive il suo biografo, «l’Etiopia gli rimaneva nel cuore» (A. Montonati, Due terre una missione, Bologna 2002, p. 147). Il vescovo Santa è anzitutto uomo di preghiera, devoto della Madonna. Quando si reca in visita pastorale, durante il viaggio recita il rosario con chi lo accompagna.
Promuove la Peregrinatio Mariae nelle parrocchie. Prepara la celebrazione dell’Anno Santo e, in occasione della solenne proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria (1° novembre 1950), guida il pellegrinaggio diocesano a Roma. Proprio in questa circostanza si manifestano i primi sintomi della malattia, che nel giro di tre anni lo conduce alla morte.
Sempre più affaticato e indebolito, continua a spendersi e solo dopo molte insistenze accetta di farsi curare. Dopo un pesante intervento chirurgico del celebre Dogliotti, ha una parziale ripresa, che gli consente di ritornare ai suoi impegni. Nel maggio 1952 celebra il Congresso eucaristico, lungamente preparato, dal quale è certo che fiorirà una nuova stagione di fede cristiana. Riesce anche ad accompagnare a Lourdes 500 sacerdoti ammalati.
Tra bagliori di speranza e continui peggioramenti, col pensiero sempre rivolto a Dio, circondato dall’affetto e dalla preghiera di tante persone, il santo vescovo chiude la sua vita terrena il 18 maggio 1953.
Nell’omelia delle esequie l’arcivescovo di Bologna, cardinale Giacomo Lercaro, così lo ricorda: «C’erano in lui, robusto e valido, tante energie. Lo sentiva, e sentiva anche che la morte sarebbe stata, a quell’età ed in quella ricchezza di risorse fisiche, intellettuali e morali, un sacrificio amaro. La natura si ribellava ad accettarlo. Dio però glielo chiese e lui, che era sempre vissuto nell’abbandono confidente in Dio e che di fronte a ogni evento aveva sempre ripetuto il suo abituale Deo gratias, quando intese che il Signore lo voleva a sé accettò con amore il sacrificio supremo: era forse questa la nota caratteristica della sua spiritualità, ancor qui missionaria» (cfr. Due terre una missione, p. 152).