La festa della Repubblica coincide con il dibattito parlamentare sulle due riforme istituzionali proposte dal Governo: il premierato elettivo (Meloni), le autonomie regionali differenziate (Calderoli); ma il clima politico per l’Esecutivo non è incoraggiante: le due proposte sono in stallo, ferme. La stessa premier lo ha ammesso, togliendo il “premierato elettivo” dalle priorità, precisando che in caso di sconfitta al referendum popolare non si dimetterà (diversamente da Renzi).
Perché questo dietro-front? Per la “tenuta” dell’attuale Carta nel confronto politico e sociale: come ricorda spesso Mattarella la Costituzione del ‘47 è giovane, perché i suoi valori sono radicati (libertà, primato della persona, solidarietà, equilibrio tra i poteri, rifiuto della guerra d’aggressione, ricerca del dialogo e della pace…); è una Carta nata da una vasta convergenza di culture politiche, come ha sottolineato il presidente della Cei card. Zuppi, non sostituibile da iniziative di parte (considerando l’astensione, oggi le forze di governo – pur divise – rappresentano il 26% del Paese).
Non regge poi il modello di “una persona sola al comando”, con la sostanziale liquidazione dei ruoli del Quirinale e delle Camere, mentre le tragedie aperte nel mondo (dall’Ucraina a Gaza) richiederebbero vasta solidarietà e condivisione degli obiettivi. Non il modello americano che sfiora la guerra civile, ma le vaste convergenze per il bene del Paese (e anche dell’Europa).
Prima del passo indietro la Meloni si è rivolta ai Centristi, essenziali per il quorum alle Camere; ma sia Renzi sia Calenda hanno respinto il modello legislativo proposto.
Stallo analogo per la “riforma gemella” della Lega: l’autonomia regionale; è emerso dal dibattito parlamentare che la proposta Calderoli, senza massicci interventi finanziari, accrescerebbe ulteriormente il divario nord-sud, soprattutto nella sanità e nei servizi; lo hanno denunciato con forza all’Assemblea della Cei i vescovi del mezzogiorno, che hanno invocato la solidarietà nazionale, lo hanno ammesso gli stessi amministratori di destra del Sud. Per garantire livelli equi delle prestazioni essenziali occorrerebbero molti miliardi; ma dove procurarli, nel momento in cui il ministro dell’Economia Giorgetti chiede austerity, mancando già dieci miliardi per il bilancio statale 2025?
Dalle parole ai fatti: l’assenza di risorse fa litigare i ministri, dal redditometro ai bonus, ma il clima da campagna elettorale perenne non aiuta, anzi accresce i rischi. L’ultima iniziativa della Lega sulla leva obbligatoria (un disegno di legge respinto dallo stesso ministro della Difesa, Crosetto) getta una luce “bellicista” sul Paese, in un contesto internazionale che esigerebbe proposte di dialogo, di ricerca della pace, non ritorni al passato.
Questa confusione tocca profondamente il tema delicatissimo della politica estera, a cominciare dall’Europa. La Meloni, in dissenso da Tajani (PPE), si è riavvicinata a Salvini con l’abbraccio alla destra francese di Marine Le Pen; in questo modo rendendo precari i rapporti dell’Italia sia con la Francia del liberale Macron sia con la Germania del socialdemocratico Scholtz. Ma Roma in Europa non può reggere senza Parigi e Berlino, con i sondaggi che escludono a Bruxelles una maggioranza di destra all’italiana (anche per il “no” dei Popolari alla Le Pen).
Sul conflitto mediorientale tre Paesi europei (tra cui la Spagna) hanno rotto gli indugi, riconoscendo lo Stato palestinese (ovviamente insieme a quello israeliano), dando corpo alla linea dei “due popoli, due Stati”; l’Italia attende, in linea con gli Stati Uniti, proponendo un accordo bilaterale Tel Aviv-Palestinesi (senza Hamas). Di fronte al rifiuto di Gerusalemme dei due Stati, non sarebbe opportuna una riflessione bipartisan in Parlamento, con una ricerca oggettiva della via migliore per la pace nella martoriata terra di Cristo?
E anche sull’Ucraina (sempre più attaccata dalla Russia) perché non porre fine alla babele delle lingue in campo europeo (dando spazio alla proposta di Mattarella di una ricerca del dialogo Mosca-Kiev nel rispetto del diritto internazionale)?
I nodi aperti, interni ed internazionali, sono così rilevanti da richiedere non “una persona sola al comando”, ma una vasta solidarietà tra le forze politiche, com’è avvenuto nei momenti difficili della storia repubblicana, dalla ricostruzione alla lotta (vittoriosa) contro il terrorismo.