L’ondata di maltempo della settimana scorsa ha colpito il nostro territorio, dilagando anche su altre zone oltre provincia e regione. Ha fatto danni a cose, case e campi nel momento in cui, con un ritardo di una settimana rispetto alle stagioni “normali”, era partita anche nel torinese la trebbiatura del grano. Il 20% della produzione, dicono gli agricoltori, è andata perduta. Altri si spingono a denunciare perdite fino al 70-80% nelle zone più colpite: nell’area sud-est della provincia, nella fascia pedemontana canavesana, nella pianura ciriacese, nel basso Canavese.
È stato il colpo di grazia, dopo un mese di giugno eccezionalmente piovoso e fresco, con temperature al di sotto della media, che già aveva rallentato la maturazione delle spighe. La mancanza di sole aveva inciso sulla crescita dei chicchi. Hanno fatto paura le numerose immagini e i filmati postati sui social che mostravano grandinate che parevano copiose nevicate, chicchi gelati grandi come uova, vento da uragano caraibico.
Chi ha subito danni ha dovuto fare la mesta conta da inviare alle assicurazioni. Se capita di solidarizzare con gli agricoltori, più difficile è trovare il legame con il danno che pure noi, da consumatori, subiamo quando gli effetti atmosferici contrari riducono o cancellano le produzioni della terra.
Nella nostra provincia il valore della produzione di grano tenero (101mila tonnellate annue di frumento – quello utilizzato per il pane e per i biscotti – su oltre 20mila ettari di terreno) è di oltre 22 milioni di euro; sono impegnate 3mila900 aziende che impiegano oltre 15mila addetti. L’immagine del danno, che ci deve colpire, non è solo quella provocata dal maltempo con le sue ondate di distruzione, ma l’abbandono – assolutamente da scongiurare – della produzione locale del grano.
Questa produzione è divenuta strategica dopo la crisi dell’importazione di quello ucraino, il blocco di quello russo e l’accaparramento del 50% della produzione mondiale che si assicura la Cina.
Quando fa tanto maltempo, ricordiamoci di ricordare coralmente, a chi ne ha il potere e gli strumenti, la necessità che la nostra terra, e chi la lavora, sia supportato nell’affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici.