La politica estera è una “pietra d’inciampo” per la maggioranza di Governo per le posizioni diversissime di Meloni, Salvini, Tajani sui temi principali, dal conflitto russo-ucraino alla collocazione dell’Italia nell’Unione Europea.
L’iniziativa improvvida dell’ungherese Orban, schieratosi apertamente sulle posizioni di Mosca, ha avuto l’immediato placet di Salvini, che ha anche aderito al gruppo euroscettico costituito dal premier di Budapest, con la francese Marine Le Pen, mentre Meloni e Tajani hanno ribadito il sostegno all’Ucraina e la fedeltà all’alleanza occidentale. Due tesi opposte, nello stesso Governo, che rendono precaria la linea internazionale del nostro Paese, nonostante la coerente indicazione del presidente Sergio Mattarella: una “giusta pace”, non la resa all’aggressore.
A Bruxelles, all’avvio del nuovo Parlamento europeo, le differenze si sono confermate anche nelle scelte del nuovo Esecutivo. All’opposizione della linea von der Leyen i “patrioti” dell’estrema destra di Orban, Le Pen, Salvini (con una curiosa anomalia: i lepenisti hanno contestato il leghista gen. Vannacci, perché… troppo conservatore!). Su una posizione europeista si schierano Tajani e Forza Italia (PPE). A mezza strada la Meloni, che da un lato tratta con la von der Leyen, dall’altro non intende rompere i ponti con i “patrioti”. Una mediazione difficile tra due visioni inconciliabili dell’Europa (solidale o sovranista), che potrebbe vedere l’Italia ai margini, a Bruxelles, per il “doppio ruolo” della premier: capo del Governo, leader dei conservatori europei.
Dalla UE peraltro verranno scelte essenziali, dalla transizione energetica all’immigrazione, dalla politica fiscale verso i big dell’hitech al completamento del Pnrr (fondamentale per la nostra economia). Soprattutto qualificanti saranno le scelte per la ricerca della pace dall’Ucraina martoriata al Medio Oriente in fiamme.
Sul fronte dell’opposizione è confermata la novità dell’ingresso dei Pentastellati nella sinistra di Fratojanni (contraria alla von der Leyen), mentre Pd e Verdi aderiscono alla maggioranza europeista con Popolari e Liberali di Macron. La scelta di Conte continua a suscitare polemiche nel M5S, specie nella componente grillina contraria a indicazioni politiche di schieramento (secondo i dictat del fondatore).
In politica interna le divergenze nella maggioranza hanno evocato l’esigenza tra FdI, Lega e FI di una “verifica”, una pratica molto diffusa nella prima Repubblica. Meloni preferisce non enfatizzare i contrasti, ma le questioni aperte crescono. Sul decreto Sanità i Governatori leghisti Fedriga e Zaia hanno contestato il ministro della salute Schillaci, chiedendo e ottenendo il rispetto delle prerogative regionali, anche alla luce della nuova legge Calderoli.
Nello stesso tempo alcune regioni del Nord, dal Piemonte al Veneto, chiedono la delega immediata di poteri previsti dalle nuove norme, mentre il Sud (tutto unito, destra e sinistra) è contrario, in attesa della definizione dei Lep (livelli essenziali di prestazione); ma il Governo non dispone oggi dei finanziamenti necessari (ci vorranno almeno due-tre anni). Le norme Calderoli – come molti temevano – rischiano di divenire una “bomba” sull’attività dell’Esecutivo, accentuando lo scontro tra Regioni ricche e povere.
Sul fronte dei partiti si registrano infine due elementi. Il primo è il pubblico richiamo di Prodi (padre dell’Ulivo) alla Schlein perché non scelga la strada del partito unico a sinistra, puntando invece a presenze plurali. Nell’area di centro due esponenti di Azione e Forza Italia, Costa e Marattin, hanno proposto la ricostituzione del Terzo Polo, con nuovi leader; Renzi non ha risposto, Calenda ha duramente contestato il cuneese Costa, che per protesta ha lasciato gli incarichi di partito. S’impone una domanda: Renzi e Calenda, dopo il disastro alle Europee, dove vogliono andare? Quale proposta, se non il sopravvivere personale, per i milioni di elettori (valutati sul 10%) collocati su una linea diversa dal destra-sinistra?
E nel Pd Prodi può essere liquidato come “il buon nonno”, o i temi posti non meriterebbero adeguata attenzione, soprattutto dalla componente riformista? La stessa crisi politica dell’area centrale non esigerebbe valutazioni più approfondite?
Le forze politiche tutte (di destra, centro, sinistra) non debbono poi scordare il fenomeno permanente del forte astensionismo; la stessa indicazione del sondaggista Nando Pagnoncelli sul 58% di astenuti tra i cattolici praticanti dovrebbe indurre a una politica meno incentrata sulla persona e più attenta ai grandi temi della società.