Per prendere il potere nella gran parte di quello che oggi chiamiamo Piemonte ben sei entità politico-militari condussero una violenta lotta con ricadute devastanti sulla popolazione. I primi che abbandonarono la lotta furono gli Angiò, sgominati alla battaglia di Gamenario (Santena) il 22 aprile 1345 dai Monferrini e dagli Astigiani. Furono seguiti dagli Acaia: tra alternanze di alleanza e scontro con i cugini Savoia perché non avevano definito confini netti, le loro signorie si sovrapponevano sul territorio.

Ad Ivrea coabitavano nel potere sulla città sottomessa ad entrambi fin dal 1313. Nel 1360 le tensioni sfociarono tra Amedeo VI di Savoia e Giacomo d’Acaia in scontro aperto: il primo catturò e umiliò il secondo. Il primogenito Filippo d’Acaia, diseredato in favore dei figli di un secondo matrimonio del padre, assoldò mercenari e si ribellò ma i savoini lo sconfissero e lo catturarono. Fu affogato nel lago di Avigliana. Nel Piemonte orientale la minaccia era la casata viscontea di Milano.

Tra il 1329 e il 1339 Novara, Vercelli, Alessandria e Tortona di fatto erano quasi sempre sotto il controllo di Azzone Visconti, come anche Alba, Cuneo e Mondovì. Più difficile fu ottenere la sottomissione di Asti che presto finì nell’orbita francese. L’altra forza del territorio fu il marchesato del Monferrato che oltre a contrastare i Visconti si impadronì brevemente di Ivrea nel 1349 durante le guerre del Canavese descritte da Pietro Azario per poi ridursi al territorio compreso tra Alba, Chivasso e Casale. L’ultimo invece, il marchese di Saluzzo fu ridimensionato dai Savoia nel saluzzese e nelle Langhe.

Nel 1356 Giacomo d’Acaia scacciò i monferrini da Ivrea e si scontrò con i Savoia, però perdendo Ivrea e il Canavese. Dopo vari passaggi e un ritorno dei monferrini in città, Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde, rimase il solo padrone. Il nostro territorio, fu sconvolto dalla guerra e dalla presenza di molte pericolose bande mercenarie rimaste anche dopo l’ingaggio dei Monferrato per la guerra del Canavese. La Grande Compagnia del conte Lando devastava il rivarolese.

Le alture di Ivrea erano sotto la rapina e la violenza della Piccola Compagnia di Giovanni di Monferrato e di Matteo Einardi. La Compagnia dei Figli di Belial sotto il comando del capitano inglese Albert Strez. Questi o più probabilmente la compagnia dell’inglese Robin du Pin, assaltò il castello di Lanzo ove si trovava lo stesso Conte Verde che venne preso prigioniero con Edoardo di Savoia, futuro arcivescovo di Tarantasia, Aimone primogenito del conte di Ginevra e Girardo Destrées, cancelliere di Savoia e altri nobili che furono feriti. Il riscatto costò alle casse sabaude qualcosa come 80.000 fiorini d’oro.

Nel 1363 la sorte di essere catturato per riscatto toccò al vescovo di Ivrea Pierre de La Chambre, già canonico di Saint-Aignan di Orlèans. Eletto da papa Innocenzo VI il 24 febbraio 1359 versò 300 fiorini alla Camera Apostolica come oblazione e viste le difficoltà, il papa concesse la consacrazione presbiteriale e vescovile da parte di qualsiasi presule cattolico. Nominò vicario generale Giovanni Villereti che già agiva in suo nome prima dell’insediamento.

A presidio del castello vescovile di Pavone nominò un suo consanguineo ed omonimo e un castellano nella persona di Joncellino di Avigliana. Il nuovo vescovo arrivò in diocesi nei primi mesi del 1360 abitando nella fortezza di Pavone. Il 20 marzo del 1360, accompagnato dal vescovo Tommaso di Tiatira, nella chiesa cattedrale di Ivrea procedette all’imposizione delle mani e alla consacrazione di numerosi chierici, suddiaconi, diaconi e un solo sacerdote. Altra ordinazione seguì il 20 settembre dello stesso anno.

Visto lo stato delle cose, avviò la riforma del capitolo: ingiunse al cantore di ammonire i canonici assenti perché non rispettavano la regola della residenza minacciando, nei casi più gravi, la scomunica. La frizione ebbe una soluzione di accordo in novembre. Il vescovo ottenne il controllo delle fortezze episcopali di Albiano e di Andrate, conquistate dai Monferrato. Dovette però sborsare 2500 fiorini d’oro per Albiano.

Tra la fine di febbraio e il 20 aprile 1363 la compagnia di ventura inglese di Robin du Pin, assediò e prese la  fortezza di Pavone catturando il vescovo. L’ufficiale sabaudo Aimone di Challant diede la notizia al castellano di Bard e ai baroni alleati dei Savoia per difendere Ivrea dall’inglese. Durante la prigionia le truppe distrussero il borgo redendolo inabitabile.

La situazione era in stallo, Robin minacciò di morte il presule e usò la violenza contro di lui per convincerlo al pagamento del riscatto per sé, per la sua “familia”, per gli
abitanti, per il borgo e per il castello, la somma di 8.500 fiorini.

Temendo il peggio il vescovo accettò ma non possedendo tale somma chiese un prestito ad Amedeo VI che pagò all’inglese il riscatto il 13 aprile 1364, prendendosi in pegno le fortezze episcopali di Pavone e Chiaverano con tutti i diritti giurisdizionali fino all’estinzione del debito. Il vescovo trovò e consegnò i denari al conte di Savoia che però si trattenne Andrate.

Vista la piega, il vescovo scrisse una lettera minacciosa, senza effetto. Il primo novembre minacciò di scomunica Ardizzone Taglianti e Giovanni di Rivarolo castellani del Savoia che si rivolsero a papa Urbano V. Così a novembre del 1364 li scomunicò e rimasero tali sino al 1367 quando si giunse alla restituzione del castello, avvenuta nel 1370, che costò ancora al vescovo 840 fiorini. Fu grande lo sforzo giuridico e finanziario del vescovo per salvaguardare la sua Chiesa da “amici” e nemici.

Pietro de La Chambre morì nel suo castello di Albiano il 22 febbraio 1373 e fu sepolto in cattedrale nella cappella di santa Maria Maddalena.