Lo avevano chiamato Natale Bartolomeo Melchiorre Rosario Scalero, perché era nato la notte del 24 dicembre mentre suonavano le campane per la Messa di Natale del 1870, a Moncalieri. La sua storia è stata raccontata dalla studiosa e violinista Chiara Marola (formatasi alla mitica scuola Suzuki, costituita a Chiaverano da Lee e Antonio Mosca), infaticabile promotrice di quella che ormai da più anni si può considerare la Scalero-Renaissance, culminata in importanti convegni, concerti e pubblicazioni (tra cui L’Archivio di Montestrutto: fonti inedite per una biografia, Civiltà musicale, n. 53). Il futuro artista aveva avviato la sua formazione musicale a Torino, presso l’Oratorio di San Filippo, e poi per sei anni aveva approfondito lo studio del violino nel Liceo Musicale, ma la svolta per il suo perfezionamento si compirà a Genova con il celebre Camillo Sivori, unico allievo riconosciuto da quel genio del violino che era stato Nicolò Paganini. Sivori intuisce le doti non comuni di quel ventenne e gli consiglia di uscire dal ristretto ambiente musicale italiano. Così, nel 1895, Scalero si stabilisce a Londra, per farsi conoscere come concertista (tre applauditissimi recital nella Queen’s Hall).

L’anno dopo, passerà in Francia, dove si dedica all’insegnamento del violino, finché l’amico musicista torinese Leone Sinigaglia gli consiglia di andare a Vienna per studiare composizione con il celebre Eusebius Mandyczewski, allievo ed amico di Johannes Brahms. E sarà proprio questa, per Scalero, la scuola che lascerà un’impronta tale da orientare in modo significativo la sua personale poetica di autore post-romantico. Risale, infatti, a quel periodo viennese la parte più notevole delle sue composizioni cameristiche.

Mentre una successiva tournée in Germania con la pianista Alice Elinor Bocconi gli valse l’apprezzamento da parte della prestigiosa casa Breitkopf & Härtel, che decise di pubblicare le sue opere, decretandone così la notorietà internazionale.

La composizione più importante e nota della sua prima fase creativa è la Sonata op. 12 in Re minore, per violino e pianoforte. L’afflato lirico dei diversi temi rende un evidente omaggio alla grande eredità romantica di Johannes Brahms. Scandita nei tre classici movimenti (Allegro, Adagio, Vivace, ma appassionato), è davvero tutta “appassionata”, come la concepì il compositore – e come la eseguono il violinista Mauro Tortorelli e la pianista Angela Meluso per la recente edizione della Brilliant Classic. E sarà proprio questa Sonata a destare l’interesse per il “nostro” musicista da parte del violinista e direttore d’orchestra David Mannes, che ne fu così entusiasta da offrire a Scalero la cattedra di composizione alla Mannes School di New York.

E così, il 13 agosto del 1919, il musicista piemontese partì da Genova alla volta del Nuovo Mondo. Anche il nome della nave, il transatlantico “Giuseppe Verdi”, si rivelerà di buon auspicio per la sua futura “vita d’artista”. Approdato a New York il 2 settembre, alla soglia dei suoi 50 anni, Scalero si lasciava alle spalle una già lunga attività di insegnante e compositore, ma si adattò subito allo spirito dinamico dell’America, l’ambiente in cui avrebbe potuto costruirsi quella posizione sociale che in Italia gli era stata negata.

Dopo alcuni anni di lavoro alla Mannes, venne chiamato nell’ancor più prestigioso Curtis Institute of Music di Filadelfia a dirigere il Dipartimento di teoria e composizione musicale. Centinaia di allievi frequentarono la sua “scuola”, che avrebbe lasciato il segno anche in alcuni protagonisti della musica del Novecento.

Tra i tanti che ebbero la fortuna di avvalersi del suo insegnamento, spiccano i nomi di Gian Carlo Menotti (“raccomandato” personalmente a Scalero da Toscanini), Nino Rota, Samuel Barber, Lukas Foss, Leonard Bernstein. Molti dei suoi allievi più fedeli frequenteranno anche i corsi estivi tenuti nel castello di Montestrutto, diventato negli ultimi anni sua stabile e definitiva dimora, e dove Natale Scalero (così si firmava) lascerà questo mondo nella notte tra il 24 e il 25 dicembre del 1954.

Del consistente catalogo, redatto da Chiara Marola, per una futura “Scalero edition”, molte opere sono tuttora in attesa di pubblicazione. Tra quelle che appartengono alla fase che si può definire più “impressionista” dello Scalero “americano”, due composizioni hanno già meritato l’attenzione degli interpreti: il Quartetto con voce “La pioggia nel pineto”, op. 31 (la partitura, tratta dall’Alcyone dannunziano, fu più volte rimaneggiata dall’autore alla ricerca di sonorità in accordo con i sentimenti ispirati dal testo poetico); e, soprattutto, La divina foresta, op. 32: un breve ma intenso “poema sinfonico” ispirato al canto XXVIII del Purgatorio dantesco, dove Scalero intende tradurre in musica lo stato d’animo di Dante di fronte all’apparizione di quella donna misteriosa (Matelda) che attraversa gli ultimi canti del Purgatorio. La “divina foresta”, alias il “giardino dell’Eden”: insomma, il “paradiso terrestre”… dove ci sorprende quella simbolica figura femminile che Dante interpella con toscana disinvoltura: «Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore / ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti / che soglion esser testimon del core, // vegnati in voglia di trarreti avanti »,/ diss’io a lei, «verso questa rivera, / tanto ch’io possa intender che tu canti»… Come non apprezzare questa ricercata sintonia di un artista del nostro Novecento ispirata ancora al più grande “cantore” dell’ Occidente cristiano?

[La figura di Rosario Scalero ha trovato finalmente, dopo una immeritata dimenticanza, la sua giusta collocazione tra i musicisti del Novecento, per l’opera di riscoperta in cui si è a lungo impegnata Chiara Marola, a cominciare dalla sua tesi di laurea, discussa con Paolo Gallarati nell’ateneo torinese. Il nome di Scalero è approdato anche sull’autorevole Dizionario Biografico degli Italiani (Treccani), grazie al “nostro” Michele Curnis, che ne ha tratteggiato vita e opere; nella nota bibliografica vengono citati i fondamentali contributi di Chiara Marola, Eleonora Negri, Alberto Basso, Alessandro Ruo Rui, e – last, not least! – gli scritti di F. Dassano e M. Curnis, pubblicati su L’Escalina I (2012) e L’Escalina II (2013).]
p.p.